«Non ti posso votare perché sono di destra, però in bocca al lupo». L’avvocato Buccico abbraccia Cristiana Coviello in tribunale, a Potenza.
Il giorno dopo l’annuncio della sua candidatura per “Liberi e uguali” (collegio uninominale senato Basilicata) Cristiana è al lavoro, come sempre.
«Mi sento a casa».
Qui? In tribunale?
«Lì lì. Ma sai che andiamo oltre le previsioni della legge sulla quota di genere in lista? Cinquanta e cinquanta».
Il riferimento è alla proporzione del 60 e 40 per cento – uomo, donna – previsto dalla legge elettorale. Che potrebbe essere anche 60 per cento donna e residuo maschile al 40 per cento. Utopico immaginarlo, «ma è anche vero che la storia politica della Basilicata è stata un esempio di record al contrario».
Vero. Ed è per questo che Cristiana Coviello, prima vera novità di questa campagna elettorale, si appresta a rimanere quella di sempre, a proporsi cioè con quella sua fisionomia pubblica alla quale ha abituato i lucani, portabandiera delle battaglie di ge
nere, dal linguaggio ai diritti.
«Che poi non c’è un segmento del nostro vivere, della nostra quotidianità, dal più grande dei temi alle più piccole necessità che non possa essere affrontato per le disparità ma anche per le opportunità che ci riguardano»«Le diranno che anche lei è figlia di, anzi, l’hanno già detto». E lei ne è fiera: «Ricordate però anche il cognome di mia madre». Figlia di Ro mualdo, figura storica della Dc e poi de Pd, e nipote di Decio Scardaccione, tra i maggiori esponenti della democrazia cristiana, è nel nome delle battaglie materne, di Ester, che l’avvocata Coviello esce dal perimetro associativo per accettare la sfida elettorale. Perché è nell’albero genealogico femminile, nella catena generazionale di donne nate da donne che si costruisce lo scenario simbolico della propria esperienza. L’anatomia non è un destino, non può essere un privilegio, ma neppure una soggezione. «Siamo generatrici di idee», dice. Oltre che di figli. «Sono anni che combatto, chi non alza la voce, è complice».
