Quando pensiamo alla parola visioni ci immaginiamo un campo lungo e tutte le cose meravigliose che la nostra fantasia può immaginare per coprire quella distanza. Ma a causa di una certa limitatezza nel mio sguardo (non a caso sono miope), non riesco ad avere una visione così distante, pertanto mi fermerò ad immaginare una prospettiva che prenda a riferimento l’ambito cittadino. Per cominciare, mi rifaccio ad una interessante riflessione di uno scrittore urbanista, Alain De Bottom, che propone sei qualità perché una città si possa definire oggettivamente “bella”. È una visione che provo a dimensionare sul nostro beneamato capoluogo, da più parti considerato un luogo oggettivamente da molto tempo privo di visioni.
- Simmetria. È qualcosa che dà tranquillità, intesa anche nel senso di ordine. È la ragione per la quale, ad esempio, amiamo città come Parigi (pensiamo alla maniera in cui si espande l’Étoile dall’Arco di Trionfo). Ecco, Potenza avrebbe bisogno di maggior ordine. E se le strade proprio non hanno quella simmetria, beh l’ordine si può cercare in un maggior senso civico, che non guasterebbe affatto.
- Umanità. Le città moderne sono piene di zone industriali prive di vita e dotate di costruzioni brutalmente anonime. Anche una serie di contenitori vuoti e lasciati all’abbandono inscatolano quella sensazione di tristezza diffusa nel cittadino.
- Compattezza. Le città ritenute belle e confortevoli sono quelle in cui gli abitanti stanno vicini (magari non proprio come i palazzi uno sull’altro stile certi agglomerati di Macchia Romana, ma un qualcosa che assomigli a certi quartieri antichi di Napoli, tanto per fare un esempio). Le piazze, poi, riferisce lo scrittore urbanista, non devono superare i 30 metri di diametro. Certo, se quelle piazze non fossero assediate da automobili, se ne ricaverebbe una sensazione di maggiore bellezza. Una parola che sembra essere diventata sconosciuta.
- Rispetto. Troppe città privilegiano i veicoli sui pedoni. Una città dovrebbe essere facilmente percorribile sia dai veicoli sia dalle persone che ci abitano. E non posso fare a meno di immaginare che la città capoluogo ha troppo poco spazio per i camminamenti a piedi, sia marciapiedi che zone per dedicarsi ad una amabile passeggiata. Il recupero di zone siffatte aumenterebbe ipso facto la percezione di un luogo maggiormente vivibile.
- Scala. Perché guardiamo sempre inorriditi le palazzine del Serpentone? Perché per una città la scala ideale è quella di un edificio alto non più di cinque piani: tutto ciò che supera questa altezza fa sentire le persone che ci abitano piccole e insignificanti. A parte che, allo stato attuale, non avrebbe senso continuare a costruire, ma semmai programmare un’azione di recupero degli edifici dismessi o abbandonati (vedi punto 2).
- Localismo. Forse la qualità più importante. Recita esattamente il contrario di globalismo, ovvero il mondo in cui ci troviamo a vivere. La città ideale deve recuperare la propria storia e tornare a farla respirare nei suoi vicoli e nelle sue principali espressioni pubbliche.