OLIMPIADI INVERNALI: DIPLOMAZIA SPORTIVA O SPORT DIPLOMATICO?

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Con l’annuncio dell’apertura della linea rossa tra Pyongyang e Seul in occasione dei Giochi olimpici invernali, ritorna in auge l’uso dello sport come soft power della politica internazionale. La Corea del Nord invierà a Seul una delegazione atletica di alto livello per partecipare alle prossime olimpiadi del 9-25 febbraio, che si svolgeranno proprio nella capitale sudcoreana. Già dalla sua elezione il Presidente sudcoreano, Moon Joe-In, aveva dichiarato di voler riaprire la Sunshine Policy tra le due Coree – una politica di distensione e cooperazione, inaugurata da Kim Doe-Jung nel 1998 e durata per dieci anni, fino all’elezione di Lee Myung-Bak. E la prima strada per farlo saranno proprie le prossime olimpiadi invernali che vedranno sfilare insieme i due paesi sia alla cerimonia di apertura che di chiusura. E per allentare ulteriormente la tensione tra le due sorelle, il sud è disposto a sospendere le sanzioni imposte dall’Onu al nord per via della minaccia nucleare portata avanti dal leader nordcoreano, Kim Jong-Un. E ancora una volta lo sport tende una mano alla politica, così come era avvenuto con il ping-pong negli anni ’70, che salvò l’America dal disastro vietnamita, accettando l’invito di Mao Zedong a partecipare ad una partita di ping-pong a Pechino da parte di una delegazione americana. E fu da questo momento che lo sport iniziò ad assumere un ruolo profetico per la distensione dei rapporti interstatali. E di anticipo di qualche anno, fu la Francia di De Gaulle che, intuendo l’importanza dello sport, promosse Giochi senza Frontiere, giochi senza barriere o cortine, in cui tutti gli stati, dell’Europa occidentale, del blocco americano, e quelli dell’Europa orientale, del blocco sovietico, potessero giocare, gareggiare e stringersi in un abbraccio sportivo, tra fratelli europei. Così come si stringeranno in un abbraccio fraterno i coreani, del sud e del nord, il prossimo febbraio. Ma c’è già chi urla al boicottaggio. La Russia ha avuto l’esclusione da parte del Cio – il Comitato internazionale per le Olimpiadi – dei suoi atleti per problemi di doping, e il vicepresidente della Duma, Alexander Lebedev, aveva già gridato al boicottaggio, ricordando bene quello del 1980 portato avanti dal blocco occidentale nei confronti delle Olimpiadi a Mosca, a causa dell’invasione sovietica dell’Afghanistan dell’anno precedente. Quindi lo sport è un potere morbido – secondo la definizione di soft power di Joseph Nye – che può assumere un ruolo chiave nelle relazioni tra stati. Ma può anche influenzarli in modo negativo, possiamo menzionare a questo proposito gli incidenti del 13 maggio 1990 allo stadio Maksimir di Zagabria tra gli ultras della Dinamo Zagabria e quelli della Stella Rossa di Belgrado, che si trasformarono in una vera e propria guerriglia calcistica che fece da scintilla ad un sanguinoso conflitto armato che portò alla disgregazione della Jugoslavia. Come si disgregò la migliore squadra di calcio ungherese, la squadra d’oro di Ferenc Puskás, in solo due mesi durante la rivoluzione dell’autunno 1956, che causò migliaia di morti e migliaia di espatri, tra cui le stelle della grande squadra ungherese, una delle squadre più forti della storia del calcio.

Lo sport è lo specchio di una società, è lo strumento di uno stato, è un mezzo per dialogare, per confrontarsi e imporsi con la forza l’energia la grinta nei confronti di altre società, altri stati.
Allora il fatto che l’Italia quest’anno non partecipi ai mondiali è il segnale che è un Paese non più capace di confrontarsi o reggere il confronto, o semplicemente un Paese piegato da lotte intestine e corruzione che rodono il tessuto sociale, vecchio e affaticato, come i suoi giocatori in campo. E il fatto che Kim Jong-Un e Moon Joe-In abbiano invece deciso di gareggiare insieme alle Olimpiadi, con, addirittura, la delegazione femminile di hockey sul ghiaccio sotto un’unica bandiera, significa che le società reclamano il disgelo. Sono dei passi enormi se, andando indietro nel tempo, ricordiamo il boicottaggio del nord dei Giochi olimpici di Seul nel 1988, e una bomba su un aereo di linea sudcoreano che causò un centinaio di vittime. Probabilmente questa di Kim Jong-Un è una mossa del cavallo studiata, una strategia d’astuzia che dimostra la sua capacità di conoscere bene le dinamiche della politica occidentale, avendole studiate a fondo in loco. Chissà se quindi un invito di Trump a Kim ad una partita di golf in uno dei suoi immensi campi possa rendere il mondo più sicuro dalla minaccia della sua distruzione.      

Ida Valicenti è PhDr. in “Storia delle Relazioni Internazionali” presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e Visiting Researcher alla Facoltà di Filosofia dell’Università Comenius di Bratislava. Attualmente è ricercatrice presso il New Europe College – Insitute for Advanced Policital Studies di Bucarest. Scrive di storia e politica estera su quotidiani e riviste. È autrice di tre monografie, di articoli scientifici e saggi in riviste accademiche italiane ed estere ed è stata relatrice in convegni internazionali e lezioni invitate in Europa e Stati Uniti. 

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