Sì, vabbè, abbiamo votato, con la pancia, con la testa, con la speranza o con la rassegnazione, ma, a parte un forte segnale del tipo “non vi fate più vedere” a una folta schiera di politicanti in uso e in disuso, abbiamo fatto un bel casino. Infatti non si muove foglia, l’impasse è serio e le prospettive angoscianti. Chi sperava in un mondo migliore già si è rassegnato al peggio. Chi era già rassegnato, invece, gongola dall’alto del suo immarcescibile “ve lo avevo detto”! Per cui, nell’attesa di una nuova campagna elettorale che ci restituisca un risorto centro sinistra oppure un crescente consenso per quell’area ultraideologica meglio conosciuta come populista, siamo costretti a sorbirci le elucubrazioni di una classe di giornalisti e politici che mostrano un insospettabile interesse per le ragioni del vincitore di turno.
La parola populista, in effetti, circola con minore intensità, tante di quelle volte non sia propriamente gradita e finanche il reddito di cittadinanza, dai, forse non è malaccio.Povera Italia. La gara a chi l’aveva detto prima che Salvini e Di Maio, in fondo, erano il futuro dell’Italia, continua all’ultimo colpo, sebbene quotidianamente si celebrino le sorti del PD in mondovisione, quasi che il mondo si regga ancora e sempre sulle sue sorti. Non c’è trasmissione che non si occupi, ancora, di Renzi, Del Rio e Martina, quest’ultimo un altro sulla schiera dei “prividivirtù” alla Tajani e Gentiloni, mollaccioni spalmabili a seconda delle esigenze. Nessuno affronta, invece, il problema, serio, antropologico, della nuova specie di politici, quella che “per fare il politico non serve un titolo di studio, lo dice la Costituzione”. Qualcuno, saggiamente, dice che lo sfascio non è di oggi, ma che in ogni epoca passata si è sempre pensato di aver toccato il fondo. Vero. Ma non è vero che in epoche passate si potesse fare il parlamentare senza avere confidenza con la lingua italiana, senza autonomia di pensiero o passione politica, come accade oggi. Oggi ci si scopre politici bell’e buono, dopo qualche partita vinta nella serie D, o dopo un emblematico quanto casuale “essersi trovato lì per caso”, roba che se mi fermavo a parlare col giornalaio non diventavo senatore. E che dire, poi, della importante mancanza di un pensiero, un’idea, un proposito serio? Basta la volontà di beccarsi un lauto stipendio. E questo vale dal consigliere comunale al parlamentare. Io un esperimento lo farei. Bloccherei l’erogazione delle indennità varie per una tornata elettorale per verificare se la corsa al seggio rimanga sempre la stessa o se, invece, l’interesse non scemi all’improvviso. Ma cosa vai a pensare! Giusto, e poi chi me lo fa fare che come niente mi alieno qualche simpatia, chè già me ne sono rimaste poche, e vengo additato come un appestato che ancora non capisce la differenza che passa fra un Pittella a scelta e un novello parlamentare 5 Stelle. Vero anche questo. Che ne capisco io? E allora vale la pena non farsi nemici e seguire l’onda: I 5 Stelle? Li stavamo aspettando, ora dimostrino di saper fare concretamente l’interesse del paese. Noi siamo qui a vedere, pronti ad applaudire. La Lega? Fenomeno che avanza, la nuova destra, quella che mancava. Il PD? In lieve crisi, ma con le forze per riprendersi in mano il paese e portarlo alla gloria del fu impero romano. Gli altri? Risorse. A posto. Non mi sono fatto nemici. Buono per qualsiasi futuro risultato elettorale. Peccato me ne sia accorto solo a tarda età. ]]>