“Abbiamo voluto provato a dare a Matera qualcosa in più rispetto alla semplice riqualificazione degli spazi pubblici già esistenti”.
La frase chiave della presentazione dell’architetto Stefano Boeri sul progetto di ristrutturazione della stazione delle Fal, è quella pronunciata alla fine dell’esposizione dei rendering. È quella che dà l’idea di quello che doveva essere e che non sarà.
Il progetto risulta gradevolissimo dal punto di vista puramente estetico ma è oggettivamente limitato nella portata e nell’impatto urbanistico. Dopo due concorsi di idee e dopo i fiumi di parole e di inchiostro sprecati negli ultimi trent’anni su quell’area era lecito attendersi qualcosa di più ma la colpa non è delle Fal né tantomeno é di Boeri che ha lavorato sulle linee guida che gli erano state consegnate dal committente che non è il Comune di Matera.
L’idea di sistemazione a verde dello spazio e la riqualificazione delle strade limitrofe e di accesso alla stazione, che comunque saranno oggetto di ulteriori dibattiti e concorsi di progettazione, a questo punto francamente inutili, è certamente di qualità.
Il problema è che non si doveva lasciare alle Fal l’iniziativa di progettare quello spazio a ridosso del centro storico, che appartiene alla città, indipendentemente dalle vicende burocratiche legate alla proprietà del suolo che recentemente è stato acquisito al patrimonio comunale.
I motivi sono comprensibilissimi e riguardano: la gestione di una futura (se mai ci sarà) metropolitana di superficie, l’utilizzo di mezzi adeguati e non inquinanti di cui oggi le Fal non dispongono e di cui non disporranno in tempi brevi a meno di importanti investimenti.
Si è scelta la strada del parco urbano al servizio di un’area stazione che, ad oggi, è utilizzata prevalentemente dai pendolari e che, anche in futuro, è difficile immaginare che possa essere la principale via di accesso da parte di turisti e visitatori. Perché parliamo, è bene ricordarlo, della stazione delle Fal, non di quella delle Ferrovie dello Stato. Non è collegata direttamente all’aeroporto di Bari Palese e alla stazione Fs di Bari Centrale né a quella nascente di Ferrandina.
In più, manca l’idea della relazione urbanistica di quello spazio con il resto della città, il suo collegamento con la tangenziale ovest (si farà?), con la strada di ingresso al centro abitato provenendo dalla stazione di La Martella, con il Parco delle Cave e della storia dell’uomo e quindi anche con la struttura temporanea pensata come spazio delle arti figurative su cui si stanno investendo ingenti risorse.
In altre parole, manca l’idea di un percorso di rigenerazione di parti di città che lambisce tra l’altro il quartiere Spine Bianche simbolo della grande urbanistica degli anni ’50 che potrebbe essere valorizzato e rilanciato.
È chiaro che si è scelta la via breve, quella del dover fare qualcosa in vista dell’immediatezza degli eventi di Matera Capitale senza però mettere mano ad un masterplan della città.
Era quella la vera sfida da cogliere per andare oltre il 2019 e progettare il futuro. Era per far questo, non per elaborare un semplice restyling di spazi già esistenti, che serviva la mano di un maestro (Boeri avrebbe potuto esserlo) che, coinvolgendo le professionalità locali, sapesse coniugare le esigenze di una progettazione architettonica di grande qualità a quelle dello sviluppo urbano.
La sfida stava nell’elaborare una visione in grado di immaginare nuovi stili di vita e nuove abitudini dei materani e dei visitatori, allargando gli orizzonti del vivere comune.Piazza della Visitazione in altri termini avrebbe dovuto ampliare la fruizione della città, non rinchiuderla nella contemplazione della stazione delle Fal, che non rappresenta un unicum irripetibile e mai visto nel panorama delle città italiane ed europee. È questo che fanno le città che aspirano ad avere un ruolo attrattivo rispetto al territorio circostante: progettano il loro futuro per realizzarlo poi, per stralci, in orizzonti temporali più ampi. Matera invece ha continuato a volare basso, ad accontentarsi del bel disegno, a sottostare alle esigenze delle piccole baronie imprenditoriali pubbliche e private legate indissolubilmente a quelle della politica, a ragionare sulle ville comunali, perché di questo oggi stiamo parlando: di una nuova villa comunale. La si vuol chiamare parco intergenerazionale ma la sostanza non cambia: è una villa comunale con al centro la stazione delle littorine e dei pullman. Così non si cresce, si perpetua la logica del sottosviluppo e della sottomissione perché non si crea l’ambizione di guardare al futuro con occhi diversi. La lezione di Piccinato e dell’enorme bagaglio culturale che hanno lasciato, tra gli altri, Olivetti, De Carlo, Aymonino, è stata disimparata molto presto e sotterrata sotto un profluvio di chiacchiere e di retorica dei ricordi. È un’occasione persa. Ci si può scagliare contro le Fal, si può criticare Boeri, ma alla fine bisogna avere il coraggio di guardarsi allo specchio e di prendere atto che questa vicenda è l’espressione piena e diretta di quello che è il livello culturale medio delle classi dirigenti della città, e non solo di quelle elette. C’è da riflettere, e tanto. DALLO STESSO AUTORE STAZIONE INTERGENERAZIONALE]]>