QUOTIDIANITA’ ITALIANE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS
Vigevano, 11 marzo, 16:52, “La distanza ci salverà?” – Veronica Menchise
[caption id="attachment_6623" align="alignnone" width="768"] “La distanza ci salverà?” di Veronica Menchise[/caption]
Quella paura di essere fermata a Sicignano di Lucia Serino
A 60 km all’ora in autostrada tra Salerno e Sicignano, io che sfreccio consapevole dell’ abbonamento a vita, che ormai mi sono procurata, con l’agenzia dell’entrate.
Non voglio avere fretta, non voglio perdermi un attimo di quello che sto per lasciarmi alle spalle.
La sera di lunedì 9 marzo, poco prima della conferenza stampa del presidente del Consiglio
Sono assonnata in poltrona, a casa di mia madre a Pagani, non tanto da non intercettare le parole di Mentana che annuncia imminenti restrizioni in tutto il Paese, anticipando la conferenza stampa del capo del governo di lì a qualche minuto. Mi assale il panico, e ora come faccio? Devo partire subito? Sono stanca. Domattina? Ma non sarà troppo tardi? Massì, mi dico, non avrò problemi, e non è cialtroneria ma la tenera compassione per i miei stessi dubbi.
Martedì mattina, 10 marzo, di buonmattino
Martedì mattina, il primo giorno dell’entrata in vigore delle barriere regionali, ritorno a casa, senza sapere esattamente dov’è casa, a Potenza, a Pagani, a Ravello? A Potenza c’è la mia famiglia e parte della mia vita. Ma la sola idea di un alt, in entrambi i lati, mi rallenta l’istinto a correre. Dove vorrei essere? E soprattutto, quando potrò di nuovo essere dove voglio? Quando potrò togliermi di nuovo la felpa a Eboli, al primo scorcio di mare venendo dalla città della neve che non c’è più? E quando potrò dire ai miei figli: sto partendo da Salerno, tra un’ora sono da voi? Mi vengono in mene i giorni in cui, ancora al Quotidiano, avviai una campagna per le macroregioni. Tutto immaginavo, tranne la mappa della libertà di circolazione. Non saprei dire, oggi nei giorni della paura, se una piccola patria aiuta lo sforzo sanitario. So però che per la prima volta, da quando ho lasciato il campo di battaglia della cronaca, essa mi manca. E all’improvviso mi è chiaro quale straordinario regalo sia stato il mio lavoro, me lo sono chiesto per una vita, girandoci attorno. Sì, ora mi è chiaro, ed è stato il grande privilegio di mettere in fuga la paura della realtà, tanto amaro è stato raccontarla da provarne sollievo al suo inatteso e faticoso passare, per quell’antidoto naturale che l’ostinato ripresentarsi dei giorni offre all’angoscia di pensare che essi non arriveranno più.
Passo Sicignano degli Alburni senza problemi, guardare i cantonieri al lavoro mi dà serenità, come quando al primo sballottare dell’aereo guardi lo steward per vedere che faccia fa. Si illuminano i messaggi della chat di classe, diamo forza alle nostre tre amiche ospedaliere a Nocera. Potenza è a pochi minuti, ancora sufficienti per sentire Tommaso che fa l’assicuratore e sta a Matera e chiedersi perché – ma perché – dopo che abbiamo vissuto e studiato assieme negli anni dell’Università a Salerno, non ci siamo mai più incontrati dopo che il destino mi aveva portato nella sua regione. E’ quando cominci a sentire la vita che ti sfugge che la riavvolgi. Con un collega di Catania ci scambiamo la promessa di sole e mare, quando tutto sarà finito. E scherziamo, sull’isola e sul continente. No, mi dice, questa distinzione non la facciamo più. Siamo tutti sullo stesso pianeta.
Per fortuna nel via vai di libri da una casa all’altra avevo già riportato sul tavolino della mia camera da letto le lettere di Seneca a Lucilio, che mi hanno sempre aiutata a leggere il dolore, mio e degli altri. “Ognuno è infelice nella misura in cui si crede tale”, mi conforta, sorrido, leggo l’energia delle cose che scrive Antonella Marinelli. Può andare bene per affrontare il dilemma che mi aspetta intono alle 14, pasta al burro o panino col salame? Andrà tutto bene.
Potenza, 11 marzo anno del signore (o dei Maya?) 2020, ore 19 – Antonio Califano
Il sole è tiepido, i primi alberi fioriscono, sarebbe bello uscire a passeggiare. Ne ho voglia ma mi trattengo. Allora scelgo il libro che mi accompagnerà oggi, anche sollecitato da una discussione in chat, è “Hagakure” il codice segreto dei Samurai, un testo giapponese del XVI secolo. Leggo: “(102) In certe occasioni bisogna stare attenti nel parlare per non causare disturbi. Quando nel mondo avviene qualcosa di grave, la gente perde il controllo e si agita. Ma in queste situazioni è inutile parlare…In tempi simili è bene stare a casa e dedicarsi alla poesia ed altri svaghi”. Sti giapponesi sono terribili, in particolare questo Yamamoto Tsunetomo monaco giapponese del 1500, riescono a cazziare anche i desideri.
Parma, ore 22:29 – Cristina Cogoi
La casa stasera e’ muta Silenziosa .
Persino i mobili , gli oggetti ,sembrano sospesi , attoniti spaventati
Stasera per la prima volta comincio ad accusare il colpo , dopo giorni che ho pulito meditato riso rincuorato ascoltato dato speranza a tanti
Stasera per la prima volta sono in tilt
Come in un cortocircuito il corpo fatica a trovare l’equilibrio
La mente va a tutti i miei , figlia genitori sorella nipote persone che amo lontani , che lavorano in ospedale
pezzi di cuore dispersi nel mondo , in un mondo che oggi sembra ostile , immerso in una natura che si prende beffa di noi ,fuori i peschi e i ciliegi in fiore , sussurrano Vita , sussurrano rinascita
Stasera la casa , la mia casa che abito da pochi mesi per la prima volta mi ha abbracciata , mi ha accolta , e nel profondo silenzio che c’è mi ha sussurrato …. andrà tutto bene Cri !
E io le voglio credere
Potenza, ore 19:52 – Luca Rando
Sono giorni strani in cui ho in mente tre parole: cura, sacrificio, responsabilità. Cerco di trasmetterle ai miei figli, ai miei alunni, perché forse questo resterà quando tutta sarà finito. La cura l’uno dell’altro, il sacro nel sacrificio, la responsabilità delle azioni. Intanto lavoro per mantenere i contatti con i miei alunni, per fargli sentire che sono qua, che mi pre-occupo di loro: videoincontri, registrazioni, chat. Non conto più le ore passate al computer, la mia finestra sul mondo. Quando tutto sarà finito vorrò solo stringere mani, guardare occhi.
Villa d’Agri (Pz), ore 19:00 – Antonella Marinelli INTERNO 2. IL SOGGIORNO.
E’ il secondo giorno rosso su questo divano bianco. La situazione sonora di sottofondo è la stessa di ieri, solo il lavoro un po’ più organizzato. La didattica a distanza. Finalmente nelle nostre scuole di provincia si è potuta significare la rivoluzione digitale. A causa delle restrizioni degli ultimi DPCM governativi, sui gruppi whatsapp dei miei colleghi furoreggiano decine e decine di software e link di piattaforme utili ad organizzare video lezioni, video tutorial, condivisione di esercitazioni. La posta piena di circolari sulle modalità di svolgimento della interazione telematica. In tutta questa certosina programmazione c’è però una variabile umana di non poco conto, la scarsa propensione dei ragazzi a fruire di questa nuova impostazione didattica. Gli alunni del biennio, grazie alla cura di molti genitori, da bravi nativi digitali non ne sbagliano una. I “senior” della scuola invece, quegli spavaldi con le barbe incolte che sembrano finte per come spuntano morbide sui visi teneri, e quelle spavalde con i capelli lunghi e già seducenti e le labbra volumizzate da gloss colorati che hanno già la saccenza di sapere come va il mondo, beh, che ve lo dico a fare, con questi ultimi la didattica a distanza è uno stillicidio. Dopo quattro anni di scuola qualcuno ancora non ha richiesto la password per l’accesso al registro elettronico. Chi invece ne dispone si premura di inventare la più banale delle scuse, la linea è intasata. Altri, storditi da quel classico vagabondare di chi a diciassette anni non sa né chi è né chi diventerà, sono irraggiungibili. E poi però non mancano i virtuosi. I virtuosi sono quelli che l’Istituto Tecnico l’hanno scelto con consapevolezza, per garantirsi la doppia opzione al termine del quinquennio, perito tecnico o studente universitario. Ecco, i virtuosi sono quei ragazzi che permetteranno al Ministero dell’Istruzione di parlare di successo di questa didattica sperimentale.
Nella video lezione che registro in questo tardo pomeriggio per la 3 B non spiegherò le Crociate. Chiederò ai miei ragazzi come stanno, se vivono bene la casa, se hanno paura. Dirò loro di non sentirsi soli, di non guardare la tv se non per quei film che di solito li fanno tirare tardi e li costringono a cinque ore di sbadigli, fatta salva la ricreazione. Chiederò loro di filmarsi e di raccontare una emozione, una sola su questo allontanamento coatto dal loro mondo.
Spero che questa crisi si dissolva al più presto, perché la scuola, per molti dei miei alunni, è l’unico luogo fisico ed emozionale in cui si sentono a loro agio. Figli a volte di disperazioni e solitudini. Genitori che abdicano a noi insegnanti tutto ciò che non sarebbero in grado di offrire loro, la speranza del riscatto.
Mi mancano i miei studenti, mi mancano quegli occhi vividi che ti rispettano e ti sfidano, con un chewingum sempre tra i denti e quella puzza imberbe di vita che mi fa credere ancora nel domani.
Pignola 21.00, ore 21:00 – Rocco Spagnoletta
Abbiamo già cenato, proprio come due di Milano. È proprio vero che questo virus unisce l’Italia. Anna Sant sistema la cucina e io mi butto sul divano, leggo due pagine di Salinger mentre in TV la moglie di Rutelli parla di pandemia come se parlasse di un detersivo per i piatti del discount. Anna Sant mi ricorda che la moglie di Rutelli ha avuto dei papi in famiglia, tante di quelle volte l’avessi dimenticato. Faccio zapping, virologi dappertutto e dappertutto applausi finti, torno a leggere Salinger. Anna Sant videochiama il fratello a Milano, mi preparo a fare il mio solito gioco di magia con i pollici che si illuminano per le mie nipotine dall’altro capo del videotelefono. Il gioco riesce, applausi veri, chiudiamo la videochiamata e iniziamo a litigare su cosa vedere in tv e alla fine una risolutiva Anna Sant prende il telecomando lo punta su Netflix e spara. Parte una serie già alla terza puntata, una serie che lei aveva già iniziato, le chiedo di cosa parla: “parla di una coppia che scopre il sesso a tre con una studentessa e questa roba crea loro un sacco di problemi.” “Più o meno del Coronavirus?” “Molti di più!”.
Potenza, ore 22:40 – Ida Leone
Mantenere la distanza di sicurezza.
Almeno un metro, se proprio hai necessità di uscire.
E io oggi ce l’ho, mi servono pane e latte e biscotti. E due melanzane per fare la parmigiana.
Entro al supermercato. Carrello, scaffali. Cerco quello che mi serve.
Un signore anziano si avvicina, nello stretto corridoio, mentre scelgo i biscotti. Mi allontano di un metro. Anche lui. Scatto all’indietro e rischiando di inciampare nel carrello cambio corsia. Il signore mi passa alle spalle, lentamente. Nella impossibilità di spalmarmi sulle lattine di tonno, trattengo il fiato. Cambio di nuovo corsia, e prendo velocità galoppando verso il latte. Lo trovo già lì.
Ai banchi della verdura sono in trappola, scavalco la cassetta delle melanzane con un bel gesto atletico e almeno per stavolta l’ho fregato.
Il rapporto fra me e il signore anziano, ormai prossimo al fidanzamento, prende le mosse di un minuetto: io avanzo, lui pure, io cambio scaffale, lui mi taglia la strada passando dall’esterno. Alle casse guardo disperata la cassiera, che pur con la sua bella mascherina riesce a farsi capire e impone al signore che quasi mi alita sul collo di farsi un metro indietro, rispettando la segnaletica orizzontale.
Esco con il fiato mozzo per l’ansia.
Domani la spesa me la faccio mandare a domicilio.
Genzano di Lucania, ore 17:05 – Gianrocco Guerriero
Sono dovuto uscire anche stamattina. Nulla di nuovo, ormai, a parte una esagerazione che mi ha fatto sorridere: un ragazzo dal passo flemmatico percorreva il corso principale, semivuoto, con mascherina e protezione in plastica rigida trasparente (tipo quelle antivento delle vecchie Vespa 150) che pendeva dalla visiera del berretto. Fino a due settimane fa avrebbe rischiato il TSO. Oggi era esemplare.
Per il resto, senza rendermene conto, ho guardato il mondo con “occhi matematici”: vedevo la rarefazione umana come diminuzione del tasso di incidenza e le curve logistiche si sovrapponevano al paesaggio. I nuovi contagi sono poco più di 500: potremmo aver già superato il flesso, e sarebbe una notizia buona. Ma dubito che sia così: ci sono tanti casi ancora non diagnosticati, non c’è dubbio. E poi, c’è gente incosciente in giro, che ha confuso lo stop dell’emergenza per una vacanza. Ma questa è un’altra storia.
Potenza, ore 18:00– Giuseppe Romaniello
Sospensione, limitazione, necessità, modi di stare al tempo del corona virus; rimbalzano nella mia testa queste tre parole; tre parole per da esplorare in tre giorni.
Sento che siamo piombati in uno stato di sospensione, eppure sento che non è questo il modo giusto per definire lo stato delle cose. La sospensione è un tempo appeso, un inizio rinviato, una fine non metabolizzata; non ci si può sentire piombati nella sospensione, perché è nella logica delle parole che il sentirsi sospesi è un atto di azzeramento della gravità delle cose, che mal si concilia con il piombo. Sentirsi sospesi è uno stato potenziale, rischioso come ogni evento che ha potenzialmente grande impatto sulle vite di ciascuno, ma anche, mi arrischio a dirlo, avvincente, tanto seduttivo da indurci – ciascuno a suo modo – ad immaginare questo tempo come quello che genererà il cambiamento radicale, che ciascuno aspettava, temeva prefigurava, invocava. La speranza di un approdo è quello che tiene in vita un naufrago.
Milano, ore 18:00 – Lorenzo Casati
È circa da due settimane che sono chiuso in casa e penso che ne avremo ancora per molto, almeno fino a fine aprile. Sono uno studente universitario. Le lezioni del secondo semestre sarebbero dovute cominciare il 2 marzo, ma sono state rimandate di una settimana, tempo necessario ai professori per registrare un certo numero di lezioni e caricarle sulla piattaforma on-line dell’ateneo. Perciò, la scorsa settimana, ho avuto un pò di tempo libero, che ho utilizzato per leggere un paio di romanzi e studiare una partitura di Bach per chitarra. Purtroppo ho lasciato la chitarra classica a casa dei miei genitori e mi sono dovuto accontentare di quella elettrica, utilizzata per giunta senza amplificatore, per non dar noia al vicinato. Io e il mio coinquilino ogni giorno cerchiamo di utilizzare modelli matematici per prevedere il numero di contagiati del giorno successivo, e poi lo confrontiamo con quello comunicato alle ore 18 dalla protezione civile: un modello autoregressivo a media mobile (ARMA) sembrava non sbagliarsi di molto (anche se ieri ha sbagliato, eccome!). Poi ritorno a seguire le lezioni. Questo semestre è piuttosto interessante. Il tempo in casa tuttavia trascorre con una certa lentezza, i movimenti sono rallentati, anche il pensiero sembra meno lucido di prima. Me ne accorgo ora che sto scrivendo questo diario. Tuttavia restare in casa è la scelta migliore che si possa fare. Decido di fare una pausa dallo studio e scorgo in libreria un piccolo libro di Stephen Hawking, la teoria del tutto. Mi metto a leggerlo. Stephen Hawking è stato un fisico inglese che si è occupato molto di buchi neri e cosmologia. Il suo libro è molto lucido. Ma, dopo alcune ore di lettura, capisco che c’è ancora molto da capire sul nostro universo. Nell’ultimo capitolo viene nominata la teoria delle stringhe. Avevo già sentito parlare di questa teoria, tant’è che avevo comprato un libro divulgativo al primo anno di università, ma, non capendoci nulla, lo avevo messo da parte. La teoria delle stringhe è una teoria di gravità quantistica, cioè una teoria che cerca di conciliare la teoria della relatività generale di Einstein e la teoria dei quanti. Cerco su YouTube e trovo un video di Edward Witten, uno dei fisici che si occupa della teoria M (una delle teorie delle stringhe), che spiega in modo molto comprensibile le idee e gli sviluppi di tale teoria. Quello che mi ha colpito è che la teoria delle stringhe è una teoria speculativa e che ad oggi non ci sono dei risultati sperimentali che la confermino o la confutino. Per un attimo ho provato quella sensazione che si ha ascoltando un celebre pianista (mi capita sempre quando ascolto Bach eseguito da Glenn Gould) e vorresti essere lui. Per un attimo avrei voluto essere nella testa di Witten per comprendere l’idea che ha lui dell’universo. ”Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo // nelle città rumorose […]’’(Montale, i limoni). Mi affaccio alla finestra, è calata la sera. Abito a Milano e di solito la strada su cui si affaccia la mia finestra è molto trafficata. Oggi, regna il silenzio.
Potenza ore 15:00 – Rosa Solimeno
Il lavoro ai tempi del coronavirus!!!
Chi come me svolge un’attività autonoma purtroppo qualche difficoltà in questo momento la sta vivendo.
Gli impegni di lavoro, nonostante tutto, infatti, continuano a sussistere e di conseguenza non puoi fermarti, non puoi stare a casa. Spesso si pensa che non si voglia stare a casa, in realtà non sempre è così, a volte non si può!
Ecco perché lunedì quando ho saputo che tutta l’Italia era diventata “zona rossa” ho vissuto un momento di sconcerto misto a timore, ero a lavoro, immersa in un progetto da consegnare la mattina successiva, una gara la cui scadenza non era stata prorogata e mentre tutti scrivevano #iorestoacasa, consigliando di seguire il loro esempio, io non potevo farlo perché non potevo rischiare, a causa delle restrizioni, di non consegnare la gara. Questo ha spinto me e tutto il gruppo di progetto a lavorare l’intera notte così da consegnare la gara martedì mattina alle 9!
E poi? ho riorganizzato la mia vita per lavorare da casa – per quello che è possibile fare con due ragazzi che chiedono continue attenzioni – ma non avrei potuto fare scelta diversa perché in questo momento la priorità deve essere la nostra sicurezza… ci vuole solo un po’ di spirito di adattamento misto a tanta pazienza e forza di volontà, ma sono sicura che con le dovute attenzioni “tutto sarà perfetto” (come il titolo del libro che ho appena iniziato a leggere)…ed ora a lavoro con forza, coraggio e determinazione che la prossima scadenza è vicina!
Potenza, 17:30, Valerio Nicastro
Quando succedono cose più grandi di te, c’è sempre un momento in cui realizzi che è tutto vero.
In questo caso, è la stampa delle autocertificazioni per andare comprare qualcosa al supermercato. Messa la firma, diventa tutto vero.
Pensarci è davvero surreale. Fino a un mese fa potevo decidere in tre ore di andare a Capodichino e partire per Budapest, Parigi, Lisbona. Oggi devo mettere nero su bianco che sto andando a fare la spesa, e per andare a trovare Valentina dovrei violare la legge (per un momento mi sfiora l’idea di spacciarmi per un romantico fuorilegge che sfida le forze dell’ordine in nome dell’amore, ma poi mi ricordo che non sono mai stato capace nemmeno di scavalcare una persona in coda alle poste, in realtà).
Rivedo le immagini delle piazze d’Italia deserte trasmesse ieri sera dal TG1. Mai avrei pensato di dirlo, ma mi confortano.
Potenza Ore 12,00 – Pino Paciello
È il secondo giorno e lo sgomento di ieri lascia spazio alla leggerezza. Mi rendo conto che, anche chiuso a casa, le cose da fare sono tante ma mi sento leggero. Più che come una piuma, come un uccello che vola (Il faut etre léger comme l’oiseau, et non comme la plume. Paul Valery).
Trovo divertente lavorare in maniera remota, non mancano le risate nelle videocall e poi ho scoperto che si risparmia un sacco di tempo. Ho parlato via Skype con Maurizio che avrei dovuto raggiungere a Sant’Angelo le Fratte; ci eravamo scritti nei giorni e scorsi e dandoci appuntamento a stamattina, scherzando, avevo chiuso dicendo: sempre che non ci mettano tutti in quarantena. È stato tutto così smart!
Già, smart. È la parola del momento, può significare, a seconda dell’uso: rapido, abile, acuto, brillante, sveglio, intelligente, veloce. In una parola: leggero (di planare).
Roma, ore 16:45 – Salvatore Cosenza
E che sarà mai? Sguazzo da anni ormai nel cosiddetto “smart working”. Ma ora è diverso! Tuttavia nel gestire il tempo ho solide certezze: prima delle dieci non succede nulla che valga la pena di essere vissuto, la colazione si fa al bar e dopo pranzo mi concedo una passeggiata. Cose che ovviamente con questo provvedimento devo scordare! Vi rendete conto? Però è un sacrificio da affrontare per il bene di tutti: la solita routine quotidiana per me cambia poco. Ma sono stravolte le mie abitudini serali! Niente ristoranti o birre al pub con gli amici. Che palle! Approfitterò per vedere un po’ di film, leggere un libro…Finalmente! Cazzo non torno a Potenza da Capodanno: due mesi e mezzo! Mai stato così tanto tempo lontano dai miei! Per fortuna li sento tutti i giorni, sarà ancora più bello riabbracciarli quando sarà tutto finito! Che poi tra una cosa e l’altra, non vedo una partita del Potenza al Viviani da un botto e ora hanno pure fermato il campionato. Non ce la posso fare! O forse sì? Mi sa che sto diventando bipolare.
Potenza, ore 14:55 – Giampiero D’Ecclesiis
Mi consegnano una scatola di guanti in lattice e una mascherina invitandomi ad indossare sia gli uni che gli altri, guardo il collega che me li porge, da dietro la mascherina non si capisce se sta sorridendo, dagli occhi così pare.
Apro la mia mail e leggo comunicazioni di esortazione da parte dei vertici della mia azienda e la nota con la quale il mio capo comunica i nomi di coloro che restano in servizio per garantire il funzionamento al minimo della struttura, gli indispensabili, o magari i meno superflui, ci sono, tra gli altri, anche io.
E’ una bella giornata di sole dalla finestra della mia stanza si vede tutta la valle del Basento, i rumori sono ovattati, soprattutto manca il rumore continuo del traffico, la città è ferma.
Mi affaccio e avverto una sensazione strana, mi sento come una sentinella, mi viene in mente Giovanni Drogo, ma dalla mia garitta non si vede il deserto, né tartari all’orizzonte, il paesaggio è quello solito, le nostre colline, le nostre montagne, i boschi, la strada Basentana.
Mi rigiro tra le mani la bustina di plastica sigillata che contiene la mascherina in dubbio se indossarla o meno, ma attorno a me non c’è nessuno, il corridoio del mio ufficio è silenzioso e vuoto.
Mi piacerebbe uscire, prendere la moto e andare a fare un giro, ma non si può.
Mi appoggio sullo schienale, socchiudo gli occhi e lascio viaggiare la fantasia percorrendo la Statale n°92 fino a Laurenzana e poi ancora oltre, il fresco del vento, l’odore del bosco a Sella Lata.
Dopo 5 minuti squilla il mio telefono.
Riapro gli occhi e mi metto al lavoro.
Potenza, ore 15:23 – Lui’ Giò
Le mie Impressioni sul mio primo giorno di “arresti domiciliari “ per COVID-19
Questo mood, lo sto paragonando, al jet/lag più faticoso della mia vita, sebbene non esco da casa da giovedì scorso.
Mi aggiro dentro casa come una scema. Dormo un ora a notte, forse. Non esco da cinque giorni di casa.
Ancora non ho trovato un equilibrio psicofisico per gestire questa situazione nuova.
Non riesco a concentrarmi su nulla.
Anche la mia home di FB è destrutturata senza filo logico.
Dopo lo smanettamento sul cellulare di stamattina, ovvero nell’unico posto sociale ma virtuale che mi è concesso, per scaricare un po’ di rabbia accumulata, qua è là tra la paura e lo smarrimento di ciò che facevo fatica a metabolizzare o, dove incontravo dissonanze con il mio punto di vista, ho ceduto ad un grande “masticazz” e ho chiuso la faccenda.
Apprendere della decisione che ha preso il Governo è stato sicuramente uno choc ma il panico è derivato essenzialmente dall’apprendere, da lì a pochissimi minuti che c’erano quattro fuggiaschi da un carcere in sommossa, ad un’ora da casa mia, a mano armata, pericolosissimi in giro. “BARRICATEVI IN CASA CASA E NON USCIRE FIN QUANDO NON LI AVREMO CATTURATI “ recitava il placato e dolcissimo messaggio inoltratomi su whatsapp con tanto di fotografie dei fuggiaschi.
Chiaramente, per il mio modo di vedere le cose sempre e solo dal “lato positivo “ erano già nei dintorni di casa mia con il coltello tra i denti, dietro la porta-finestra della lavanderia ovvero l’angolo più buio della mia casa e che ho decretato ad essere il luogo “più debole’
Quando si dice, in preda al panico totale: vi prego ditemi una cosa alla volta. Non reggo.
Quindi il mio film mentale ha preso una ulteriore direttiva. Gestivo all’improvviso, due paure sconosciute, che mai e poi mai avrei immaginato di provare nella mia vita. Ero teletrasportata in una sceneggiatura tipica dei migliori films catastrofici. Risultato, notte totalmente in bianco.
Pur avendo vissuto il terremoto, l’idea di dover restare chiusa a casa, nel mio paesino mi ha destabilizzata, ho pensato a mia madre che non ho fatto in tempo ad andare a salutare o portarla a casa mia.
Immaginavo i camion dei soldati che chiudevano le strade e io non potevo più andare da lei e …. non faccio spoiler!
La mia prima giornata dentro casa è stata completamente disordinata. Faccende domestiche, cucinare, hobby o relax, tutte operazioni che sogno durante la settimana lavorativa. Risultato ZERO ASSOLUTO.
Non ho neanche pensato a cosa preparare per il pranzo. Cosa davvero inaudita.
Infatti ho deciso che nelle prossime ore stilerò un programma giornaliero delle cose da fare altrimenti, disperderò il tempo scrollando il dito sullo schermo del cellulare e, non mi va affatto l’idea.
Passo da una cosa all’altra. Da uno straccio a una lavata di mani. Non mi bastava lo stress alla ricerca degli occhiali da vista ora non trovo l’alcol, l’asciugamano pulito. L’Amuchina non è mai al suo posto.
Ho comprato un assortimento di pezze colorate, un mix di colori delle cartelle Pantone, degno di uno stilist di hautecouture. Ma ho dovuto aprire un file per ricordare per ognuna il suo utilizzo. Confusione. Spray disinfettante ovunque. Maniglie, interruttori ho iniziato a pulirli con ossessione.
A pranzo abbiamo tenuto insieme una task force familiare per definire i ruoli e gli spazi privati, ci siamo assegnati le postazioni comode e più ambite, i bagni da assegnare ad ognuno. Ho una casa comoda, ma con tre uomini dentro. Al momento riesco a gestire il caos che provoca lo stare a casa tutto questo tempo Loro un po’ meno, ma vedremo.
Sono bravi. Ma troppe ore dentro casa significa fare un tour ogni ora per raccogliere bicchieri, bottiglie, piatti, buccia di frutta.
Scavare nei braccioli dei divani e trovare incarti di merendine. Prevedo momenti di incazzature feroci all’orizzonte.
Mio figlio è andato a farmi la spesa. Ganzo di vivere una nuova sensazione da “fare attenzione agli zombie” in una situazione di massima allerta nazionale, in un paese di 5000 anime, si è girato intorno al naso una sciarpa ed è partito per la sua prima avventura in una situazione di emergenza. Ha fatto una spesa ‘normale’… non moriremo di fame. Al supermercato, mi ha riferito, è tutto nella norma. Si entra aspettando il turno. Tutti composti e rispettosi delle regole.
Devo dire che ieri sera è stata una cena diversa dalla norma. Ho realizzato che eravamo insieme, solo noi quattro. E questa è la cosa più importante e positiva della faccenda Covid-19. Ringrazio la sorte che i miei ragazzi sono a casa con noi da qualche tempo e che non sono in giro per il mondo. Ho ancora sul collo paure vissute sulla mia pelle che mi hanno segnata , tipo gli attacchi terroristici dell’ ISIS, per portare un esempio. Solo noi quattro e nessun altro che può entrare in questa morbidissima bolla.
(p.s. sono anche una potenziale suocera)
Saranno giorni strani, ma posso trovarci qualcosa di buono e occuparmi delle mille cose da sistemare o per godermi la casa e riscoprire così il motivo del perché sono sempre fuori?
Voi? Come state messi?
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