
Torino, ore 9:35 — Piero Bianucci
Ho visto nascere e crescere l’Europa. Adesso la vedo morire.
Sto vivendo troppo.
Ismail il Tedesco, 28 marzo, Morea, orario incerto (che pure lì c’è l’ora legale)

Grandi novità: è arrivata una compagnia circense, sbarcati da una nave si sono accampati sulla spiaggia dorata. Vengono dalla penisola italica, in fuga perigliosa dall’epidemia che flagella le genti. Hanno montato tre grandi padiglioni, ho concesso ospitalità sui miei possedimenti, la sera tutti invitati allo spettacolo. Il direttore è un affabile vegliardo dalle strane movenze, un incarnato cacchifero, una lunga coda di cavallo innestata sul cranio lucido, mi onora della visita ai suoi padiglioni. Nel primo, che decanta come mirabilia unica al mondo, si esibisce uno strano scherzo di natura, abominio di selvagge terre del nord, due uomini, gemelli legati per la schiena; strani gemelli, con un unico tronco e comuni arti inferiori e superiori ma due identiche ed autonome facce incollate per la nuca. Mi si assicura con due cervelli, diciamo così, comunicanti, Matheus è il nome della strana creatura bifrontuta. Uno grida – “La padania ai padani”- l’altro replica –“più pilu per tutti”. Uno urla- “chiudete tutto”, l’altro tuona- “lo scatarro verde (nome della pestilenza che affligge le genti) per tutti”. I cerusici italici li hanno venduti, pur di liberarsene, per quattro soldi di cuoio perché stavano facendo più danni della pestilenza, ad un tratto si placano e si invitano reciprocamente a sedere su un magnifico trono posto al centro del padiglione – “prego si segga”, -“grazie prima lei” e continuano cosi ad libitum, alla fine annoiano. In un altro padiglione una graziosa piccola ballerina, di progenie incerta e voce ranocchiosa, ruota vertiginosamente e per un soldo lanciato dal pubblico si fa fare podi-podi e grida – “ maramaldi, a noi” tendendo il braccio a mano aperta in avanti, bisogna replicare – “a loro” altrimenti si incazza e diventa aggressiva. Nel terzo un elegante personaggio conciona in una forbita lingua arcaica di teorie astruse, parla di strani buchi neri, di cervelli, di lanciafiamme, è simpatico, suscita ilarità, dicono sia innocuo ma ogni tanto sbava e strabuzza gli occhi e bisogna allora allontanare i bambini perché spesso, a quel punto, emette pestifere flatulenze. Serata divertente, mi ritiro che è notte inoltrata nella mia tenda, mi è sceso un velo di strana tristezza, mi dicono che l’epidemia dilaghi, grande è la confusione sotto il cielo ma la situazione non è eccellente (questa mi piace, la devo rivendere a quel mio amico cinese che marcia con i contadini), bisogna fare qualcosa, domani allerto un drappello dei miei ninja migliori perché vorrei sbarcare clandestinamente sulle vicine coste dell’Apulia nel caso servisse al popolo della penisola che mi dicono molto irato. Ispirato compongo un haiku di buon augurio e mi consegno al sonno dei giusti.
La campana del tempio tace/ma il suono continua/ad uscire dai fiori.
Grumello del Monte, ore 19.24 – (don) Fabio Picinali
La notizia di questi ultimi giorni è quella di un calo dei contagi ed in effetti chi lavora in pronto soccorso e in croce rossa conferma che sono due giorni che finalmente, dopo turni estenuanti anche di 13 ore, si riesce a respirare.
Potremmo dire che finalmente riusciamo a vedere un po’ di luce in queste tenebre che sembrano avvolgerci ma si continua ancora a morire. Finora infatti non si è mai fatto i conti con coloro che vivono la loro malattia in casa e lì muoiono … tutti questi nessuno li ha mai conteggiati nelle statistiche; non parliamo poi di tutti coloro che, non avendo avuto complicanze polmonari, hanno superato il virus a casa, anche questi non compaiono nel numero dei contagiati perché il tampone non lo hanno fatto e non lo faranno mai.
Insomma se i numeri ci fanno tirare un po’ il fiato … dobbiamo resistere ancora.
Ed eccomi dunque a cercare di tirare le somme di questa settimana. Sento forte dentro di me il mandato di mostrare le cose belle che stanno accadendo attorno a noi. Tutti i media, da Facebook a Whatsapp, dai giornali ai telegiornali non fanno altro che proporre e riproporre immagini di morte e di sfinimento. Reali, non dico nulla ma … come superare le fatiche se il nostro morale è sotto le suole delle scarpe? Dove trovare energie per reagire se la speranza la facciamo morire prima ancora di iniziare?
Stanno avvenendo cose belle attorno a noi: a Venezia si vedono i pesci che nuotano indisturbati sul fondo dei canali, in alcune città gli animali passeggiano indisturbati per strade e parchi, i delfini saltano felici nei porti, anche il buco dell’ozono sembra essersi ristretto ai minimi termini … ma non solo la natura … anche il cuore dell’uomo si muove verso coloro che più hanno bisogno … vediamo giovani disponibili a fare la spesa ai più fragili che è meglio non escano di casa, alcuni ristoratori hanno iniziato a cucinare per gli anziani e i soli del quartiere, le associazioni si sono mosse per sostenere le spese degli ospedali, alcune signore nel silenzio assoluto hanno iniziato a cucire camici e mascherine per gli ospedali, abbiamo visto un fioraio portare fiori sulle tombe di coloro che nessuno in questo momento può curare, … e quante storie si potrebbero raccontare …
Resilienza, dobbiamo curarci di immagini belle per resistere. Sarà ancora lunga, molto lunga e la fatica si fa sentire, inventiamo nuove forme per ritornare ad essere Uomini con la U maiuscola.
Potenza, ore 2:45 – Nicola Cavallo
Il Capo redattore s’è inquietato. Dice che metto le foto, nei miei contributi, e ciò gli rende la vita difficile, molto difficile. Capirai, questo non è certo il momento di mettersi contro di lui. Questa volta, quindi, ho deciso di fare un esperimento. Vi mostro tre immagini senza mostrarvele.
La prima immagine è scura. Piove. un uomo cammina sotto la pioggia. Poi, all’improvviso parla; davanti non c’è nessuno, il vuoto assoluto, il silenzio assoluto. Grande potenza. Grande solitudine. Grande sgomento. Mi domando perché parli, qual è il significato di ciò che dice. Non parla a me, di sicuro. Percepisco impotenza di fronte alla natura. Percepisco il cercare, comunque, una speranza, una via. Sarà mica che lui sa già che per me non c’è futuro. Cavolo. Se così fosse e lo sapessi, uscirei a bere, a ballare, ad avvicinare chiunque, senza mascherina, … a godermi gli ultimi istanti di libertà … Mah!
La seconda immagine è più chiara, illuminata da una stanza calda. Un altro uomo … un altro uomo solo, parla. Davanti c’è solo Giovanni. Una risata ci seppellirà, penso; per fortuna sono riuscito ad andare dal barbiere prima delle disposizioni restrittive. Anche in questo caso mi domando quale sia il senso di tutto ciò. Anche lui non sembra parli a me.
Se il messaggio era: “Be positive” (mg, non nel senso tamponi stico, sia chiaro)… beh a’ verità devo dire che queste due immagini, assieme al triste resoconto della giornata, tutto erano tranne che ottimistiche. Abbiamo assistito ad una delle giornate più “pesanti” per le nostre menti mai immaginate.
La terza immagine è quella di un palazzo. Un focolaio, di sicuro, anch’esso. Lo s’intuisce dal calore. Qui, invece, di uomini ce ne sono tanti e tutti, proprio tutti, cercano di fare qualcosa. Mi viene in mente la biblioteca di Alessandria, la sua distruzione, il patrimonio di carteggi perduto per sempre nell’oblio della civiltà. Anche qui c’erano tanti carteggi. Mi domando e sarà una perdita.
L’uomo della prima immagine parla di indulgenza verso i propri peccati ed aggiunge che nessuno si salva da solo.
L’uomo della seconda immagine dice che abbiamo altre volte superato periodi difficili e drammatici e vi riusciremo certamente – insieme – anche questa volta.
La terza immagine mi ricorda la Laura Palmer di Twin Peaks: “fuoco cammina con me” e … cancella tutti i nostri peccati. Un bel po’ di peccati cancellati, … per questo si chiamava “cancelleria”.
Sono sicuro che non è giunta la mia ora, ma di certo, ciò che si vede sui media non è rassicurante.
Mi faccio un prosecco, nel frattempo.
Potenza, ore 17:17 – Antonio Di Stefano
Diciannovesimo giorno. Da deboli indizi sono riuscito a riconoscere che è sabato, così ho deciso di lavorare poco o niente, azzerati i tempi morti ordinari non ho voglia di stare dodici ore con il culo su una sedia, davanti a un pc. Lo appoggerò sul divano, a leggere, a vedere un film in lingua originale (perché per parlare decentemente l’inglese prima di morire c’è sempre tempo), a fingere di pensare. E’ chiaro che sono fortunato. Posso continuare a lavorare come prima, da solo o in video call, alternando al lavoro la lettura del giornale on line o la telefonata all’amico per un caffè virtuale.
Mi chiedo che sarà di questa capacità collettiva di cooperazione, di questa inventiva a trovare soluzioni a problemi a distanza, di quest’afflato che induce a sentire l’amico o il parente che trascuriamo da mesi.
Certo fuori dal nostro compound (il film in inglese ha già dato frutti) non è tutto “bei sentimenti di speranza”. Viviamo in case confortevoli con spazi vitali assicurati e doppi servizi, dotate di connessioni veloci, attrezzate con dotazioni informatiche plurime, circondati dalle nostre famiglie e rassicurati dal fatto che la rete più larga dei nostri affetti risulti indenne dal contagio. Inoltre abbiamo la fortuna di una continuità lavorativa tale che il nostro reddito non ne risenta e spendiamo anche meno del solito, magari quando tutto questo finirà avremo messo da parte i soldi per goderci una meritata vacanza (forse l’idea di una fiscalità distributiva di emergenza non sarebbe così bislacca).
Insomma è dura per tutti, ma forse per alcuni di noi un po’ meno, forse non ce la passiamo troppo male mentre ci compiacciamo di saper rinunciare al superfluo, convincendoci di riuscire a godere di quell’essenziale che invece è lusso per altri.
Chissà, forse tra qualche giorno tra noi “privilegiati” comincerà a serpeggiare la paura che tutto torni uguale a prima. Sindrome di Stoccolma pandemica
Perugia, ore 13:00 — Mariarosaria Pepe
Sono lucana, scrivo da Perugia. A questo punto, viene quasi in automatico, la “domanda all’esperto che vorrei porre è […]”. Ne abbiamo molte, così come abbiamo molti esperti. Ma, come accade talvolta, più si beve più la sete aumenta. Più ci si esercita nel domandare, più ci si abitua (?) a vivere nel dubbio. Io continuo a lavorare, sono un’educatrice. Sono in pensiero costante, come molti. Spero, come in un immaginario esercizio, neppure tanto immaginario, oggi, che trattenendo il fiato e vivendo tutto questo in apnea, la situazione si appianerà, si riuscirà ad uscire dal respiro concitato che accompagna la quotidianità per poter sospirare. E poi inspirare… Con fiducia e a pieni polmoni. Che è ancora e comunque l’atto che preferisco, in cima ad una salita… Quando si apre un panorama all’improvviso, fra i battiti accelerati alla fine di una corsa… La ricerca delle cause è adesso precaria e forse prematura. E comunque ciò che ci abbaglia al momento è la quantità di effetti. Che non avremmo mai immaginato, perché non ci sfugge pressoché nulla, ma ci sfuggiva forse un’evidenza: l’interconnessione totale che non passa tramite i giga dello smartphone. Quella che raramente ci pare possibile, quella che abbiamo forse pensato esser superata. Eccola. Torneremo a riabbracciarci diversi. Thomas Kuhn descriveva i cambiamenti epocali in ambito scientifico come derivati dal cambiamento di un paradigma. Una scoperta, la sua applicazione che determina un mutamento nelle nostre abitudini e via… Si entra in un nuovo paradigma. Migliore, peggiore? Nuovo. Il precedente è obsoleto e si chiude. Non ci sono paletti o pietre miliari. Ci sono mutamenti nel modo di intendere e pensare, a livello olistico o particolare.
Questo momento non sarà dimenticato.
Confidiamo nella nostra forza.
Genzano di Lucania, ore 18 —Rocco Di Bono
“Ragazzi del ‘99”, li chiamavano. Una generazione di diciottenni, dantescamente ribattezzata come “piante novelle, rinnovellate di novella fronda”, che nel 1918 venne mandata al fronte, in prima linea, a dare allo sforzo bellico quella spinta decisiva che avrebbe consentito all’Italia di sconfiggere il nemico austroungarico. E al fronte, quei ragazzi, ci andavano, ci combattevano e spesso, purtroppo, ci lasciavano la vita. Per giustificarne la carneficina, la propaganda nazionalista e militarista li chiamerà eroi, caduti per la salvezza della patria; quella stessa patria che, non avendo voluto o saputo evitare la guerra, li aveva strappati ai loro affetti, ai loro studi e alle loro occupazioni e ne aveva fatto carne da macello. Quando sento, in questi giorni, dei tanti medici, giovani e non, che lottano senza tregua – e spesso senza adeguati dispositivi di protezione – nelle corsie/trincee degli ospedali contro il contagio da coronavirus, mi vengono in mente loro, i ragazzi del ‘99. E spero che nessuno li chiami più eroi, ma si diano invece a questi medici, agli infermieri, a tutto il personale sanitario le risorse e i mezzi necessari e sufficienti per vincere questa guerra contro un nemico temibile e invisibile. In un suo celebre discorso, Sandro Pertini disse che bisognava svuotare gli arsenali militari e riempire i granai. Ecco, i granai del futuro si chiameranno politiche socio-assistenziali.
Potenza, 23:41 – Giampiero D’Ecclesiis
Rischio di rivolte al sud. Due donne protestano davanti ad un bancomat. I Servizi segreti si preoccupano.
E’ iniziato un nuovo capitolo di ordinaria disinformazione.
Arrivano i tempi duri.
Genzano di Lucania, ore 15,55 – Gianrocco Guerriero
Oggi è di nuovo primavera. Stanotte passeremo alle 3 alle 5. Non potrò alzarmi alle 4 come sto facendo ultimamente. Disdetta! Questo Goveno riesce a togliermi pure l’ora della sveglia, oltre a tenermi ai domiciliari! Beh, volevo fare una battuta, tanto per sdrammatizzare e ironizzare, visti i numeri che ci arrivano ogni sera alle 18. E comunque né i numeri né le parole garantiscono la conoscenza (fanno solo illudere d’avercela), poiché quest’ultima si offre per gradazioni, da meno infinito a più infinito, e non coinvolge soltanto la ragione. (Lo avevo promesso che avrei ripreso il tema del linguaggio). Ad esempio, tutto ciò che ho scritto qui finora non ha apportato nel lettore alcuna conoscenza (a parte che domani scatta l’ora dell’estate) e semmai ha seminato dubbi, oltre a suscitare, forse, qualche emozione: humor, sorpresa, un pizzico di panico… Beh, vorrei metterci anche un po’ d’amore. Avevo chiesto ‘a’ Facebook una mascherina con sopra inciso il globo, con un cuoricino al posto della luna. Una brava sarta ha letto, me l’ha “costruita” e mi ha chiamato. Sono andato a ritirarla stamattina, approfittando di un’uscita per la spesa. Mi ha detto che me la regalava. È un bel lavoro e io le sono grata. Sul Pianeta ogni punto è anche il centro, come accade nelle pandemie. Ci sentiamo tutti ‘uno’, adesso che un divieto ci allontana. Sono come serpi, i significati, attorno ai numeri e alle parole. E quando si riceve un dono e si dice ‘grazie’, si usa la parola come un suono: esce dalla bocca e dice senza dire niente, e quello è il suo significato.
Faenza, ore 7:00 – Domenico Marchione
Riecheggia un silenzio fuori controllo in una delle piazze più importante al mondo. Il successore di Pietro, avvolto nella divisa bianca, ha il volto preoccupato. Il tono della voce trema, poi fermo: « Siamo tutti sulla stessa barca, tutti. Ti imploriamo, Dio, non lasciarci in questa tempesta». Per tanti è la fede che aiuta a superare i momenti difficili, che placa i tormenti degli animi.
Cadono i muri degli egoismi, della superficialità. Chiusi tra le mura domestiche si scava tra i ricordi, si interrogano i conflitti non risolti. Gocciola lenta la sequenza delle futili abitudini consolidate.
Oggi apprendo di tre nuovi focolai nella mia Basilicata, in tre paesi non molto distanti dal mio. In America i respiratori non saranno usati sui disabili, si è fatto una scelta, sono pochi. Parole assurde.
L’unità Europea è sul baratro. Le parole dal tono pacato e ferreo del presidente della repubblica cercano di aprire uno spiraglio di unità per una ragionevole collaborazione tra i popoli europei, si auspica vengano superati i vecchi schemi per aprire a maggiore flessibilità.
Da quattro giorni sono in ferie. Chiuso il reparto di chirurgia, gli ambulatori e le sale operatorie, gli interventi tutti sospesi. Si sanificano tutto per ritornare lunedì alla normalità! Già la normalità…
Potenza, ore 9:20, Annamaria
No, non posso vederti, però posso pensarti.
E lo faccio appena apro gli occhi, lo faccio appena si infilano in testa i ricordi, lo faccio quando ho paura e lo faccio quando mi viene da sorridere, ti penso prima di chiudere gli occhi.
Non posso toccarti, ma posso immaginarti. E la stanza prende la forma che hai tu, il soffitto il colore dei tuoi occhi, le canzoni la forma del tuo viso, le sigarette il tuo profumo, la coperta l’odore dei tuoi capelli.
Non posso abbracciarti, però posso stringerti. E sono vicina a te anche se non mi vedi.
Ogni volta che non ce la fai più, che la tristezza ti fa vedere tutto nero, ogni volta che non hai nemmeno voglia di andare a guardare il cielo, ogni volta che sospiri e nei sospiri c’è il veleno, ogni volta che la solitudine ti si incastra nelle mani, ogni volta che ti manca la dolcezza dei nostri abbracci.
Qualche volta non serve essere vicini, per essere vicini.
Qualche volta dobbiamo aspettare. E sorridi, tu, mi dici proprio tu mi parli di aspettare?
Io che non riesco nemmeno a fare la fila alla posta senza innervosirmi, io che pur di non aspettare sono sempre in ritardo.
Io non so aspettare, ma so combattere.
E non posso non aspettare per un mondo migliore!
Potenza, ore 8:18 – Claudio Elliott
SPESA, ULTIMA DEA (post cretino, soltanto un po’ latino)
Che la spesa ci salverà non è un mistero per nessuno. Se non hai un cane da portare a spasso o un datore di lavoro che ti aspetta con piede insistente sulla soglia del tuo ufficio o non hai situazioni di necessità (che vorrà mai dire?) allora ecco la spesa, la tua ultima speranza.
Stamattina c’è nebbia e, come sa chiunque non abiti in Val Padana, dopo la nebbia farà capolino il sole e la giornata sarà una bella giornata.
Vabbè, c’è nebbia e i due della pattuglia non li vedo subito e sono loro a vedere me.
– Buongiorno – dice uno dei due, squadrandomi.
– Avete dormito qui? – chiedo.
– E lei? – chiede l’altro. Ho capito subito dove vuole andare a parare e gli indico il cancello di casa mia, precisando: – Abito lì.
– Non c’è nessuna casa, lì – mi dice l’altro. Trasecolo: fino a due minuti fa c’era e ci abito da vent’anni. E lui continua: – E quindi se la casa non c’è, lei si è allontanato senza motivo da una casa inesistente.
Vorrei fargli capire che la frase non ha senso e mi volto: di fatti la casa non c’è, avvolta com’è dalla nebbia. Un bell’inghippo.
– Lei vuole fare il furbo – mi dice il primo, e aggiunge, rivolto al collega: – Giovà, il signore – e noto l’ironia nel tono – vuole fare il furbo. La casa non c’è.
– Gianfranco – gli risponde il collega – ma io la vedo.
– Cosa?
– La casa – e indica il mio cancello.
– Ah, è ricomparsa – dice l’altro, che è ormai molto visibile anche lui dopo che la nebbia si è diradata. È imbarazzato e dice: – Allora lei non voleva fare il furbo.
– Confermo – e indico con aria trionfale la casa magica, ricomparsa dal nulla.
– E quindi il Papa ieri non si rivolgeva a lei – dice. Che io abbia problemi di udito e anche di demenza senile è un fatto risaputo a casa mia, e ora ne ho la conferma: il Papa? Ma avrò capito bene?
– E lei ci vede anche bene? – chiede.
– Scusi – domando – mi sembra un interrogatorio, questo.
– Allora – mi spiega il buon uomo – ieri ci ha detto di avere due nomi e due cognomi. Giusto?
– Giusto. Noi due siamo qui in servizio per sanzionare chi non rispetta le ordinanze.
Vorrei chiedergli quale, ma mi astengo e dico: – Non mi risulta che ci sia scritto che bisogna vederci bene.
– Infatti. Ma parlavo del Papa.
Sarà la nebbia o l’ora mattutina, ma non capisco davvero questo saltare di palo in frasca. È lui a togliermi dall’imbarazzo: – Quindi ci vede bene?
– Sì, ci vedo bene.
– E ha tutti e due gli occhi, vedo.
– Fino a pochi minuti fa li avevo tutti e due.
– Quindi non è orbo.
– Confermo.
– Allora lei non è furbo e non è orbo, per cui il Santo Padre non le ha comminato la benedizione, ieri pomeriggio.
Comminare non mi sembra il verbo più appropriato, vorrei precisare e, come un fulmine a ciel sereno, capisco l’equivoco.
– Se tutti sapessero il latino – dico, anzi esclamo. Inutile dire che nel frattempo è passato un gruppo di ballerine di pizzica salentina con scialli rossi e gonne bianche al suono di strumenti musicali di vario tipo, con visi sorridenti senza mascherine.
Quell’allusione al latino passa inosservata. Dice uno dei due: – Ieri non ci ha detto che lavoro fa.
– Non me lo avete chiesto, ma non è importante. Comunque, non lavoro ma ho diversi hobby.
I due si voltano a destra e a sinistra, come se cercassero qualcosa.
– Non lo vediamo. Giovà, tu lo vedi?
– Qui non c’è.
Penso che stiano aspettando un collega, per cui anche io confermo che neanche io lo vedo.
– Allora – chiede subdolo uno dei due – perché è uscito?
– Per fare la spesa, come dice l’ordinanza 2320.
– Senza Bobby?
– E chi è Bobby?
– Ehi, non faccia il furbo con me. Lei ha testé dichiarato, leggo: – Ho diversi Bobby. Non uno solo.
Insomma, tra benedizione Urbi et Orbi e cani perduti nella nebbia e passaggio di una squadra di crocieristi sbarcati chissà da dove, notevolmente chiassosi, capisco che la spesa è l’ultima dea. Meglio: l’ultima idea.
Parma 11:38 – Cristina Cogoi
Ho perso il senso dei giorni, delle ore, dei minuti.
Ho perso il senso del tempo e delle azioni.
Ho perso il senso dell’ottimismo messo a dura prova.
Ho perso il ritmo della mia quotidianità.
Ho perso la libertà faticosamente guadagnata, ma mai mai perderò il senso del vivere.
Nessuno potrà distruggere i miei sogni,
terrorizzare le mie cellule, insinuare pensieri di dopoguerra,di crisi globale, di fame, di pandemia o di catastrofi ambientali.
Siamo molto più che corpi e menti, siamo molto più che soldi accumulati, siamo molto più che titoli comprati
Siamo attimi di vita
Siamo valori tramandati
Siamo bellezza racchiusa in ogni cosa
Siamo camminate in riva al mare
Siamo lacrime davanti ad un tramonto
Siamo attimi rubati alla morte
Siamo sogni che rincorrono la vita
Siamo guerrieri a piedi nudi nella battaglia
Siamo naufraghi nella tempesta
Siamo tutto ciò che i nostri cuori allineati alla nostra anima sognano, disegnano, ballano, creano, realizzano.
Ho perso il senso dei giorni, delle ore e dei minuti, ma non ho perso la cosa più importante che potessi rischiare di perdere
Me stessa !
Matera, ore 11:00 – Doreen Hagemeister
“Pandemia”
Ieri l’immagine di Papa Francesco è stata potentissima. Non importa se sei religioso o meno, ma il messaggio era forte e la figura solitaria del Papa in Piazza San Pietro, bagnata dalla pioggia, ne ampliava il significato. Non era mai accaduto prima. È l’istantanea, già consegnata alla storia, che esprime la portata di un evento che sta sconvolgendo il mondo: la pandemia di Covid-19.
Nelle Sacre Scritture si parla di epidemie che hanno flagellato da sempre l’umanità. Si narra di Gesù, ma anche dei santi (come San Francesco d’Assisi) che affrontano queste malattie e la popolazione colpita. Numerosi sono i riferimenti a peste e lebbra (considerata la malattia più antica del mondo), entrambe oramai quasi un ricordo lontano.
Mi viene in mente il lebbrosario sulla strada per Gioia del Colle. Nei boschi a Gioia del Colle, la Colonia Hanseniana Opera Pia Miulli è nascosta da un verde che non ti aspetteresti in questo angolo di Puglia. Il Miulli, eredità del passato, però, è un lebbrosario senza lebbrosi. Si tratta dell’ultimo lebbrosario ancora aperto in Italia! I pazienti, pochissimi, non sono più positivi al bacillo di Hansen (lebbra), e potrebbero reinserirsi tranquillamente nella società.

Oggi combattiamo altre malattie. Ci sono state diverse pandemie che hanno colpito l’Italia nel secolo scorso, (come la poliomelite del 1952), ma la gran parte sono di tipo influenzale: La Spagnola (1918), l’Asiatica (1957/58), l’influenza di Hong Kong (1968/69). Prima del Covid-19. L’unica pandemia influenzale del XXI° secolo era quella impropriamente chiamata “influenza suina” nel 2009.
L’11 marzo l’OMS ha classificato pandemia anche il Coronavirus. Nonostante questa malattia sia completamente diversa da peste o lebbra, viene comunque facile paragonarla ad esse, per la sua virulenza e per il numero di morti che ha provocato nel mondo.
Al centro dell’omelia di Papa Francesco ieri c’è il contrasto, sotto forma di denuncia, tra il mondo in cui abbiamo vissuto finora e quello rivelatoci da un virus finora sconosciuto. Ecco. Spero veramente che usciremo cambiati in positivo da questa epidemia. Resta di una tristezza immensa il fatto che ci vogliono tragedie per scuotere l’uomo!
“Tu
che non sai come la vita sia molto più del tempo che passa
fra il momento in cui si nasce e il momento in
cui si muore, su questo pianeta dove gli uomini fanno
miracoli per salvare un moribondo e le creature sane le
ammazzano a cento, mille, un milione per volta.”
(Oriana
Fallaci- “Niente e così sia”)
Potenza, ore15:54 – Luca Rando
Su che cosa mi interpellano le parole del Papa ascoltate ieri, da me senza fede alcuna, persa nei miei vent’anni e mai più ritrovata. In cosa colpiscono l’animo? C’è qualcosa in quel discorso che mi chiama e mi inquieta (e da lì forse conducono al disvelamento, all’αποφαινεσθαι):
“Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite […]. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. […], tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, […] tutti bisognosi di confortarci a vicenda. […] La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. […] In questo nostro mondo, […] siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati […], non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato “.
La nostra vita fatta di corsa, guadagno, superiorità, vittoria, maschera, imbellettamento. Ed ora, senza punti di riferimento, senza più quelle abitudini confortanti delle nostre vite, smarriti, perduti. E il mondo va avanti nel suo ciclo naturale, con la pioggia e la neve, gli alberi e la nebbia, il sole ed il vento. Senza preoccuparsi di noi, anzi forse un po’ più pulito. E forse sarà proprio da questo nostro smarrimento, da questo perderci, dalla via interrotta del progresso che potremo ripartire. Più lentamente, col sentimento della vicinanza e del conforto.
Villa d’Agri ore 23:30 – Antonella Marinelli
Il varietà, dov’è finito il varietà.
Diciannovesimo giorno rosso. Se c’è una cosa che mi manca da morire in questa quarantena infinita è l’intrattenimento televisivo, sì mi manca lo ammetto. Quanto rimpiango il trash televisivo, sì il trash. Ridatemi Tina Cipollari e Gemma Galgani e il waltzer viennese che la DeFilippi ha messo nei piedi di ottantenni di buona vita convincendoli che la stagione dell’amore non solo viene e va, ma è vita.
Tre milioni di telespettatori al giorno vantava la DeFilippi. Il pubblico più nutrito quello degli over 60. E che male c’è a vedere un rossetto un po’ sbavato, rosso scarlatto, brillare ancora su labbra d’antan e capelli freschi di messa in piega. Aldo Grasso una volta scrisse di anzianità avvilita dalla sua stessa goffaggine. Dio mio quanto sono noiosi gli intellettuali a volte. E in questi giorni in cui tutti i maggiori programmi d’informazione, per tranquillizzare la popolazione, parlano di percentuali in negativo soprattutto per gli anziani, questo tipo di intrattenimento non solo sarebbe un palliativo ma una vera missione sociale.
E quanto sarebbe di compagnia un bel varietà in prima serata. Mi è entrato nelle vene che ero ancora una mocciosa il varietà. E come faccio a dimenticare quella discola della Parisi e Alberto Sordi in Guardo gli asini che volano nel ciel o Celentano quando presentò a Fantastico 5 “Susanna”. Non potevo capire ancora la fascinazione, ma la prurigine che solo in seguito avrei riconosciuto come gli albori dell’arte del sedurre , quella sì. Certo negli anni ’80 era già un varietà molto pop e caciarone, molto distante dal repertorio riproposto da Techetecheté. Renato Rascel, Franca Valeri, Delia Scala, Paolo Panelli, Bice Valori.
L’intrattenimento televisivo quanto sarebbe terapeutico in questo tempo di corsie d’ospedali.
Parte il primo esperimento di video racconto di TOTEM Magazine, Giampiero D’Ecclesiis & Fabio Pappacena vi propongono “LA MANO DEL DIAVOLO” della serie “Le storie del Maresciallo Nunziogallo”, per voi le prime tre puntate, da ascoltare e vedere con calma, un intreccio misterioso si svolge tra le strade del centro storico di Potenza, tra Via Pretoria e la Chiesa di San Michele si muovono ombre inquietanti, si sentono rumori, voci. Presenze oscure? Intrighi di provincia?
Ci penserà il Maresciallo Nunziogallo a svelare gli intrighi.
Chi sono i personaggi che si agitano nella storia? Demoni? Fantasmi? Sogni? Che succede nelle case di campagna dei potenti? Notai, avvocati, politici.
Un giro di ragazze squillo?
Da stasera per voi, su TOTEM Magazine. SEGUITECI , IL MARESCIALLO VI SVELERA’ OGNI SEGRETO