Smartworking: tutti felici, davvero?

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Nella quarta analisi della ricerca “Voci dalla quarantena” ci siamo dedicati ai temi, centrali nel dibattito sul lavoro, dello smartworking e della tecnologia. Ecco cosa è emerso.

Nel periodo centrale del lockdown il 41,8% della popolazione intervistata dichiara di aver proseguito con le attività attraverso la modalità dello smart working. Per un 20,1% invece, questo periodo è stato di pausa: eccoli qui, i temi che ci spaventano più di tutti, perché pausa può voler dire cassa integrazione, ferie forzate, lavori stagionali e così via. Sono solo il 14,2% gli intervistati che hanno proseguito normalmente, dal loro luogo di lavoro.

Innanzitutto, durante la quarantena, lei sta proseguendo la sua attività lavorativa o è fermo? N. Rispondenti: 1195

E se nel Nord Ovest e nel Nord Est lo smart working la fa da padrone, con una quota di intervistati rispettivamente del 49% e del 45,7%, il Centro racconta di un 22,2% di lavoratori che continua a recarsi sul luogo di lavoro e il Sud e le Isole registrano il numero più importante tra chi è fermo: il 24,7%.

Ma com’è l’esperienza dello smart working? Qui emergono dati inquietanti che ci portano a pensare che c’è davvero una nuova questione di genere: positiva per il 90% degli uomini (per il 34,2% è molto positiva), per il 23,6% delle donne è negativa. Viene da pensare, allora, che tanto smart questo smart working non sia. O quanto meno che potrebbe esserlo se solo non significasse, per le donne, prendersi in carico anche la cura dei figli. Non a caso, le più contente sono le mamme di figli dai 6 ai 13 anni: in età scolare, che, non ancora autonomi sulla didattica a distanza, possono essere seguiti anche a casa. E seguiti, appunto, dalle mamme.

Dove porterà tutto questo? È quello che scopriremo fuori dall’emergenza, quando le pratiche di lavoro a distanza saranno – speriamo – acquisite e diffuse, e quando le donne – temiamo – potrebbero essere chiamate ancora una volta a fare la dolorosa scelta tra il lavoro e la famiglia.

E, in generale, come giudica l’esperienza di lavoro in smart working? Rispondenti: quanti dichiarano di proseguire a lavoro attraverso lo smart working (N = 500)

In Basilicata gli intervistati sono meno entusiasti, attribuendo un voto molto positivo all’esperienza di smart working solo per l’8%, e definendola poco positiva per il 32% (contro il 14% nazionale). Una negatività che può risiedere in molti fattori. Uno dei quali è il fatto che le aziende, colte impreparate, hanno dato vita più che altro a un lavoro da casa (cosa assai diversa dallo smartworking) e lo abbiano fatto malvolentieri. Per fare smart working, infatti, è necessario darsi un’organizzazione ad hoc, dove siano progettati assai bene i processi interni, i ruoli e le responsabilità, in modo che tutto si regga anche quando il lavoro va svolto non in presenza. I limiti di un’organizzazione tradizionale, rispetto a questo tema, sono principalmente scarsa fiducia e scarsa delega, che incidono negativamente sulla responsabilizzazione delle persone. E quindi sulla loro adesione al nuovo modo di lavorare.

Precondizione per il funzionamento dello smart working è la tecnologia, che ha visto durante questa quarantena un balzo in avanti nell’acquisizione di competenze da parte delle persone. Per il 95,7% degli italiani la tecnologia è centrale in questo momento. Naturalmente non solo per il lavoro, ma anche, tanto, per il mantenimento della socialità. Da questo punto di vista il lockdown è stato un acceleratore che ha consentito di ridurre in modo significativo il digital divide.

E in questo periodo lei direbbe che le sue competenze digitali e tecnologiche sono…? N. Rispondenti: 1195

L’analisi completa e la relativa infografica si trovano qui [link https://www.neosvoc.com/blog/4-lockdown-lavoro-e-tecnologia-tra-una-spinta-all-innovazione-e-qualche]. La prossima analisi sarà dedicata ai cambiamenti nelle abitudini di vita.

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