di Rocco Spagnoletta

Non
ho idee, non ho suggerimenti da dare né soluzioni miracolose, in
questi 60 giorni ho capito una cosa sola: che senza concerti non
esiste la mia band.
Sì, sì, ho visto live a distanza,
sincronizzazioni amorevoli di musicisti, case-studio alla Sting,
inquadrature balistiche di tasti bianchi e tasti neri, mani e voci
che si sfidavano danzano sull’imposto immobilismo della quarantena,
migliaia di volti impressi nelle fototessere, piccoli piccoli, gli
uni accanto, sopra e sotto agli altri e ho ascoltato sessanta milioni
di cantanti sui balconi e loggioni telefonici e platee sulle vostre
cucine canterine. Abbiamo visto tastiere, chitarre, violini,
fisarmoniche, violoncelli, arpe, batterie solitarie, abbiamo
ascoltato i vostri karaoke corali e cordiali. Ci siamo divertiti e
abbiamo riso per le canzoni allegre e ci siamo commossi e a volte
abbiam pianto per le canzoni tristi.
A un certo punto sono
iniziate le telefonate di chiunque con tante parole vibranti ma
confuse, queste: “ho un’idea; la nostra piattaforma; una sorta di
live on line; la rete; il futuro; i nuovi media; nuovi modi per fare
i concerti; reinventare i live; dare speranza; fiducia nel prossimo
(fiducia nel prossimo?)”
Eppure la mia band non si è mai
riunita virtualmente, non ce lo siamo mai neppure domandato, non ne
abbiamo parlato mai, non c’è stato mai alcun dubbio.
Abbiamo
sovvertito l’ossimoro del distanti ma uniti, abbiamo intonato il
nostro pianto greco sotto forma di silenzio. Così, semplicemente
all’unisono.
La mia band non si è mai riunita virtualmente
perché noi, per essere una band, abbiamo bisogno di respirare la
stessa polvere, di sudarci addosso, di mischiare le nostre
personalità, di spogliarci felici della nostra musica per regalarla
agli altri.
Perché felici lo si è solo insieme.
E felici lo
si è solo in quel rito collettivo che chiamano concerto.
Senza
concerti le band non esistono.
NON E’ MAI FACILE CAPIRE
di Gianrocco Guerriero

Capire è meno facile di quanto si creda. Le parole possono significare tutto e niente: è lo *sfondo” (altrimenti detto “paradigma”) a fare la differenza. Il caso “Silvia Romano-Aisha” è esemplare, e voglio provare ad analizzarlo da un punto di vista astratto, che ne mostri la radiografia.
Spesso fanno fatica a capirsi persone coetanee appartenenti alla stessa cultura e che hanno avuto un rapporto personale profondo e di lunga durata. Figuriamoci modi culturali lontani un abisso, soprattutto in tempo di crisi (in questo caso da pandemia) quando cercare un colpevole, di qualsiasi cosa, è lo “sport” preferito dagli affamati giustizieri. Ho letto commenti abominevoli, sui social, negli ultimi due giorni, dettati da giudizi superficiali e supportati da argomentazioni senza logica che semmai tradiscono la malafede di chi se ne avvale con tanta destrezza: ad esempio, qualcuno sospetta che i soldi del riscatto possano servire ad assicurare una vita da nababbi ad Aisha e ai suoi complici musulmani: uno specchio di ciò che quegli stessi malpensanti, più o meno inconsciamente, avrebbero voluto per sé qualora si fosse presentata loro l’occasione (quei soldi, invece, verranno utilizzati per ben altro: armi, innanzitutto, e poi aiuti alla popolazione, per assicurarsi sostegno e collaborazione).
Silvia è una ragazza partita per l’Africa con il desiderio di fare del bene, evidentemente già disgustata dalla cultura occidentale decadente fatta di ideali liquidi, di egoismo e di individualismo. Ha subito 535 giorni di prigionia da parte di uomini pregni di idee chiare e forti (per quanto pericolose, criticabili e inaccettabili possano essere), al cospetto delle quali le singole esistenze perdono valore; è stata rispettata, in quanto donna, come forse non lo sarebbe stata altrove; ha avuto la possibilità di leggere un solo libro; ha subito una pressione psicologica che non potremmo riuscire neanche a immaginare; ha avvertito l’intensità di una passione totalizzante. La sua mente, come sarebbe accaduto a tante altre, ha ceduto. Prima di emettere un qualsiasi giudizio di valore, abbiamo il dovere dello studio e della comprensione. Le critiche oscene, ancora una volta arrivano tutte da una stessa parte: quella dello spettro che è tornato ad aggirarsi (stavolta non solo) per l’Europa.
Il caporalato si combatte con la regolamentazione
di Claudia Schettini

Mentre cominciamo a lasciarci alle spalle il picco dell’emergenza sanitaria, il Coronavirus continua a imprimere segni indelebili sul tessuto economico e sociale italiano con un gravoso impatto soprattutto per i lavoratori impiegati nell’economia sommersa. Il rischio ulteriore è che tale spaccatura assuma contorni territoriali, con le regioni meridionali che si trovano in una condizione di particolare vulnerabilità.
Se a Marzo si era tanto parlato del decreto “Cura Italia” promuovendo ammortizzatori sociali molti lavoratori, oggi il focus si è spostato sui circa 3,5 milioni di persone impiegate nell’economia sommersa, in primis i braccianti, spesso migranti, vittime del sistema del caporalato. Ed è stato proprio sul tema della sanatoria dei migranti irregolari che si è impantanato il tanto atteso Decreto Rilancio, minacciando il blocco della maxi manovra da 55 miliardi. Il dossier, presentato dalla ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova, con il sostegno del Viminale, del ministero per il Mezzogiorno e del lavoro, ha suscitato diverse critiche, soprattutto della fronda del M5S guidata da Vincenzo Crini secondo cui la sanatoria rappresenterebbe uno scudo penale per il datore di lavoro-schiavista.
Sebbene l’agrimafia abbia subito un duro colpo dal coronavirus, non potendo più trasportare da una regione all’altra decine e decine di braccianti sfruttati, il varo del Decreto, regolarizzando per un periodo determinato migranti che già lavorano sul nostro territorio, è indispensabile in quanto significherebbe spuntare le armi al caporalato, contrastare il lavoro nero, effettuare controlli sanitari proteggere la loro salute e ridar loro un minimo di dignità spettante a tutti gli uomini. Difatti, secondo il decreto che dovrebbe essere varato a breve, le istanze di regolarizzazione per avere il permesso di soggiorno per lavoro vengono rigettate se il datore di lavoro negli ultimi cinque anni è stato condannato anche in via non definitiva per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o per sfruttamento della prostituzione o di minori, per il reato di caporalato o reati legati alla legge sull’immigrazione.
A partire dagli anni ’90, soprattutto, nelle regioni del Sud e in particolare nella provincia di Foggia, il sistema agricolo ha subito “passivamente” il passaggio da una gestione a carattere puramente familiare post latifondista ad una più strettamente imprenditoriale con l’impiego sempre più rilevante di manodopera esterna. E così la necessità di fonti di sostentamento, il tasso sempre più levato di disoccupazione, l’eliminazione di ogni forma di regolazione amministrativa del mercato del lavoro, e la contemporanea sostituzione di lavoro non professionalizzato con l’afflusso di manodopera straniera nel settore sono divenuti pane per i denti dei “caporali”.
L’emergenza dettata dal Coronavirus nel nostro Paese ha dunque contribuito a mettere in luce la piaga del lavoro in nero che avvalla lo schiavismo tra i campi e le vulnerabilità che esso comporta nella situazione attuale, sottolineando ulteriormente la spaccatura sociale tra nord e sud che caratterizza da sempre l’Italia.
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LE STORIE DEL MARESCIALLO NUNZIOGALLO
LA MANO DEL DIAVOLO
Continua il video racconto di TOTEM Magazine, Giampiero D’Ecclesiis & Fabio Pappacena vi propongono “LA MANO DEL DIAVOLO” della serie “Le storie del Maresciallo Nunziogallo”, un intreccio misterioso si svolge tra le strade del centro storico di Potenza, tra Via Pretoria e la Chiesa di San Michele si muovono ombre inquietanti, si sentono rumori, voci. Presenze oscure? Intrighi di provincia?
Ci penserà il Maresciallo Nunziogallo a svelare gli intrighi.
Chi sono i personaggi che si agitano nella storia? Demoni? Fantasmi? Sogni? Che succede nelle case di campagna dei potenti? Notai, avvocati, politici.
Un giro di ragazze squillo?
Un video racconto a puntate da seguire con calma e vedere quando vi va.