Fuori Fase – 18 giugno 2020

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La Potenza della Cultura
di Giampiero D’Ecclesiis

L’utilissima wikipedia alla voce cultura recita: “Il termine cultura deriva dal verbo latino colere, “coltivare”. L’utilizzo di tale termine è stato poi esteso a quei comportamenti che imponevano una “cura verso gli dei”, da cui il termine “culto” e a indicare un insieme di conoscenze”.
Bella definizione no?
Quindi diciamo che molti di noi sono coltivatori, naturalmente come succede in agricoltura c’è chi coltiva preziose orchidee, chi alberi da frutto, chi grano e foraggio, sia pure con qualche azzardo questo parallelismo potrebbe rappresentare le differenze tra cultura “alta”, “popolare e di “massa”.
Sgombriamo subito il campo, la stragrande maggioranza dei prodotti culturali di una città come Potenza sono “pop”, la cultura di massa ha bisogno di catene produttive molto più importanti di quelle di una piccola città e la cultura “alta” è, per forza di cose, svolta da un élite ristretta che vive e gioca le sue competenze in ambiti naturalmente più specifici (Università, Enti di ricerca, ecc.). Bisogna essere giusti, Potenza non è Roma, non c’è un Giulio Argan all’assessorato alla cultura (non c’è mai stato) e di Nicolini capaci di costruire Estati romane non ve ne è traccia, di questo non dobbiamo farci cruccio, ma ciò detto se proprio si pensa che l’amministrazione comunale debba avere un assessorato a questo specifico settore, magari sarebbe il caso di interrogarsi su cosa dovrebbe fare.
Non è che sia indispensabile affidarsi al dadaismo per le masse di Argan per organizzare una estate culturale, o per definire un cartellone, ma di per certo se per cultura in città si continua ad intendere un bando attraverso il quale l’Assessorato mette a disposizione spazi e casomai qualche agevolazione a qualsiasi associazione faccia domanda e, senza alcuna selezione, inserisca nello stesso cartellone “Il Festival delle 100 scale” e l’associazione “Amici della zucca” assegnando ad entrambi pari valore e dignità è evidente che c’è qualcosa che non va.
Per carità, viviamo nell’epoca del Grande Fratello, tutti hanno bisogno dei loro 5 minuti di notorietà e non sarò certo io ad invitare chicchessia a sottrarli ad alcuno ma se l’Assessorato alla cultura ha un senso, è solo quello di definire un progetto culturale e di attuarlo, magari potrà capitare che esso non sarà condiviso da tutti e, fidatevi, sarà sempre così, ma avrà almeno il pregio di fornire una visione.
Allo stato il sistema è il “Panem et circenses” di ispirazione Falotichiana -non me voglia l’ex assessore alla cultura, sul piano della visione sull’argomento siamo agli antipodi e la mia critica non ha nulla di personale.
La ricetta è la seguente: si prendono un po’ di associazioni culturali, meglio se tutte perché in questa ricetta il risultato importante è poter affermare di essere stati inclusivi, a ciascuno di chiede cosa vuol fare, magari si concerta con le più importanti tra esse luoghi e date migliori, e si fa un bell’elenco di 400 eventi.
Può capitare che più di qualche evento sia contemporaneo ma che importa? L’elenco deve essere lungo perché lunghezza è mezza bellezza. A voler tracciare una direzione gli si potrebbe dare anche un contenuto che so, richiamando l’utilizzo di spazi pubblici, la costruzione di una nuova identità cittadina, la molteplicità di offerta capace di coniugare e contaminare le diverse richieste culturali del composto puzzle socio-culturale…che faccio continuo? Va bè, era solo per dare l’idea e poi di Soloni molto più esperti e “traseticci” di me la città abbonda.
Ecco questo variegato cartello di fuffa, messo insieme solo per buttare fumo negli occhi dei cittadini, è composto per il 70% di manifestazioni fatte di palloncini e volontari, sessioni di danze sudamericane, giocabimbi, un 20% di manifestazioni atte a vendere qualcosa, sia essa birra, panini, arrosticini e quant’altro e un 10% attestato sulle 3 o 4 manifestazioni di maggior impegno e migliore organizzazione dell’estate è quello che ci viene propinato regolarmente.
Intendiamoci ci siano stati tentativi di costruire un sistema di multieventi che magari adeguatamente coltivati avrebbero potuto germinare in una effettiva politica culturale, sarò superpartes e citerò La Città delle 100 scale Festival, La Notte bianca del Libro, il Potenza Folk Festival e ho citato i primi che mi sono venuti in testa dimenticando certamente qualcuno.
Strameritevoli di plauso e ammirazione ciascuna delle associazioni e delle persone che sono dietro ad ognuno di questi eventi, ognuno dei quali indipendente dagli altri, ognuno connotato da una sua impostazione, bastava esser capaci di costruire un percorso in grado di metterli a sistema, ciascuno con la sua identità e suoi riferimenti culturali, per avere una base da cui partire per avere una specie di piano culturale.
Naturalmente per costruire un piano culturale occorre avere in mente un progetto che vada al di là di farsi la fotografia ad ogni evento e dichiarare pomposamente che “l’Assessorato presenta un cartello pieno di eventi a disposizione dei cittadini” costruito utilizzando il lavoro delle associazioni aggiungendoci solo un po’ di spazio pubblico (quindi dei cittadini) e una generosa dose di faccia tosta.
Una politica culturale per Potenza richiederebbe una competenza specifica più che un assessore, ma di questi tempi e con la voglia di occupare poltrone che caratterizza sempre le scelte della politica, la richiesta appare certamente ardita.
Naturalmente sia chiaro, la mia non è una critica fatta specificamente all’assessore in carica, sarebbe ingiusto e inutile, questo sistema è antico, rimesso in piedi dall’ex-assessore Falotico dopo la discontinuità segnata, almeno durante il primo mandato “Santarsiero”, dalla “Città Cultura” cui almeno era sottesa un’idea.
Il problema è assai più vasto della capacità maggiore o minore dell’assessore di turno, il problema ha a che fare con l’area degli intellettuali cittadini che preferisce assumere l’attitudine da geisha assecondando i capricci o giustificando gli errori, ciascuno, cercando di sfruttare per se stesso l’incompetenza del politico di turno.

Ci vorrebbe schiena dritta e capacità di critica ma si sa, a Putenza gne canuscemme tutt’, è mmieglie ddascià sta’, ca pare brutte.
Gne v’remm dimane, parlamme d’Univerzità accussì nisciune se piglia collera. Speramme.

Vite Spezzate
di Anna Russelli

Sarebbe un bel cambiamento se riuscissimo ad arrivare, ad un certo punto della nostra “evoluzione”, in quanto società civile, moderna, occidentale, ad accettare l’idea che la povertà è una condizione molto più complessa di ciò che pensiamo, vale a dire non determinata semplicemente dalla mancanza di un’occupazione dignitosa.
Nella società del successo, dell’eterna giovinezza, dell’immagine vincente ad ogni costo è diventato abitudine etichettare i poveri come “perdenti”, responsabili della propria condizione; e, l’altra faccia della medaglia, è immaginare semplicisticamente che per non essere più afflitti da quella condizione basti avere un lavoro ben retribuito. Tant’è che i commenti che spesso si accompagnano, da destra e, ahimè, anche da sinistra, al varo di misure di sostegno alla povertà sono più o meno tutti improntati sulla critica al cosiddetto “assistenzialismo”.
Ma se facciamo uno sforzo ed andiamo a guardare da vicino i cosiddetti “poveri” ci accorgeremo che le loro condizioni e le loro storie personali e familiari sono molto diverse le une dalle altre. Ci sono, questo è assodato, quelli caduti in povertà in seguito alla perdita del posto di lavoro, certo; ci sono, e questa è la novità assoluta del nostro tempo, quelli che sono poveri pur lavorando, perché il salario non è dignitoso, il lavoro è quasi sempre precario, e le esigenze della famiglia sono tante; e ci sono poi persone che vivono in condizioni di povertà cronica in quanto “afflitti” da contingenze dure e dolorose, spesso determinate da un vissuto altrettanto difficile: nuclei monogenitoriali, persone con gravi disabilità personali o a carico, persone affette da gravi forme di depressione o altre malattie mentali, persone con forme di dipendenza di vario genere.
L’epidemia ha reso ancora più drammaticamente vasta e profonda la condizione di povertà nelle nostre comunità; ho conosciuto Mariella, madre sola di un bambino di 3 anni affetto da disturbi del comportamento, e lei stessa sofferente di depressione, che fa fatica a svolgere mezza giornata di lavoro per le mille esigenze da soddisfare, le terapie del piccolo, la stanchezza mentale e fisica che la affligge di continuo; oppure Anna, madre di 4 bambini piccolissimi, un marito che ha perso il lavoro 3 anni fa ed è sprofondato nell’alcoolismo, e l’intero nucleo familiare vive con un sussidio di 500 euro al mese; c’è Piero, che ha una madre gravemente disabile ed è l’unico a potersene occupare. I nomi sono di fantasia, ma sono storie vere, di persone che vivono qui, nella nostra città, forse al palazzo affianco al nostro.
Le vite dei poveri sono sempre vite spezzate, complicate, dure. Una società civile deve essere in grado di provvedere ad assicurare loro il sostegno necessario affinché possano vivere dignitosamente, senza colpevolizzarli, additarli, costringerli ad essere ciò che non sono; rispettando la loro diversità ed aiutandoli a reinserirsi nella vita sociale nel rispetto massimo delle loro condizioni personali e familiari. “Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali” è una bellissima frase di Don Lorenzo Milani che non dovremmo mai dimenticare quando facciamo qualsiasi considerazione sulle persone che vivono in povertà e su cosa potrebbe aiutarli ad uscire da quella condizione.

Pensavo fosse amore invece era FACEAPP.
di Rocco Spagnoletta

Cosa spinge un uomo o una donna di qualsiasi età a vedere come sia la propria versione del sesso opposto?
Ma allora, davvero, la non binarietà sta diventando un argomento serio di quotidiana discussione?
Giro per i social spaesato ed estasiato come un bangladino in un fioraio.
È la moda del momento, si scarica un’app, ci si fa una foto e l’app ci trasforma in dolci Veneri di rimmel. L’avevamo già usata un po’ di tempo fa per invecchiarci, vi ricordate quell’ondata de vecchiaia su facebook? Quando tutti ci siamo chiesti: “ma è facebook o la casa di riposo di mia nonna?”
Ah fermi, a proposito di nonna, l’ho provata anche io l’app e la versione di me femmina è risultata tale e quale alla badante rumena di mia nonna. A dir la verità un po’ meno carina della badante ma più sanguigna.
In verità guardando tra i messaggi scopro che i più pudichi se le fanno ma non le pubblicano, se le scambiano su watshapp, tipo figurine:

“ce l’hai un Fabio da vecchio?”
“E tu ce l’hai uno zio Rocco femmina?”

Dando un’occhiata sonnecchiosa sui social mi è parso che ormai abbia preso largamente piede in Italia la tendenza genderfluid, ho visto un sacco di strappone, milf dagli occhi languidi che a guardarle bene erano il mio barbiere, il mio bancario e il mio barista di fiducia. Che all’inizio ci resti pure un po’ male, dici “e chi se l’aspettava!” Poi scopri che è solo colpa di Faceapp.
Il gioco non è altresì precluso alle donne e così, all’improvviso, è stato tutto un turbinìo di femminei baffetti e pizzetti di pizzo, sfilate eteree di novelle Conchita Wurst, dove wurst non sta per wurstel, d’altronde si sa, sin dai tempi di Anassimene, che donne barbute sempre piaciute.

“E tu che fai? Non te la scarichi IMMUNI per monitorare il contagio?”
“Ma sei pazzo? Ci rubano l’identità.” rispose la signora mentre diventava uomo con FACEAPP.

E se questo scritto vi è parso sessista o, peggio ancora, omofobo vi autorizzo sin da ora a imbrattare una qualsiasi delle mie statue future

L’Altalena di Arianna
di Evilia Di Lonardo

Tornerai a giocare – Veronica Menchise

Discussioni online del giorno: l’Inno di Mameli cantato appezzottato, la dottoressa arrestata in Francia durante le proteste di medici e infermieri, la vittoria del Napoli in Coppa Italia e Kristen Steward nel futuro ruolo di Lady D.
Cose troppo distanti (!?) da noi e sempre gli stessi avvitamenti di senso tra bianchi e rossi, gialli e verdi. Una simbologia che si ripete costante sempre uguale a sé stessa solo per riaffermare le nostre confortevoli posizioni nel mondo. Mi imbatto, però, in una notizia chiusa nell’angolo dell’incessante flusso di informazioni su cui chissà quanti si soffermeranno e su cui voglio mettere il flag dell’evidenza.

I fatti (tratti da potenzanews.net): a Palazzo San Gervasio una famiglia ha montato un’altalena sull’albero che si trova sul marciapiede vicino la porta della propria casa solo per far divertire la figlia Arianna. Arianna è autistica.
Il quartiere non ha mai sollevato questioni di sorta fin quando qualcuno ha esposto alle forze dell’ordine la richiesta di rimozione del pericoloso manufatto poiché si trova su suolo pubblico e, pertanto, le stesse autorità sono costrette a rimuoverla nei prossimi giorni.
Ecco un fatto da giramento di testa. Da confusione di significato e da buon senso andato.
Cosa stiamo diventando o cosa siamo sempre stati? La legge del più forte che non vede gli ultimi piani di palazzi alzati nottetempo, le costruzioni abusive indiscriminate, gli sversamenti illeciti, etcetera etcetera.
Non possiamo tollerare la diversità e la felicità. Abbiamo paura di avallare la libertà del gioco che non può essere irreggimentato nelle stupide leggi di percorsi obbligati. Il buon senso che abdica alla fredda analisi del come dovrebbe essere.
La fantasia non è contemplata perché imperfetta, con regole tutte sue e di ciascuno. Una storia che passerà sottotono perché, alla fine, chi vuole davvero fare i conti con sé stesso e con quello che non potrà mai essere? Come nelle migliori società civili, dai libri bruciati alla cultura ridicolizzata, nell’Afghanistan dei sentimenti, gli aquiloni torneranno sempre a volare. Fatevene un ragione razionale e lasciate Arianna vivere il suo mondo.

Petizione online per lasciare ad Arianna la sua altalena:

https://www.petizioni.com/laltalena_di_arianna_non_si_tocca?a=141046

https://www.youtube.com/playlist?list=PLTnbehVW51PTcMSodQljAfkg7yNoZqbM0

LE STORIE DEL MARESCIALLO NUNZIOGALLO
Il video racconto di TOTEM Magazine, Giampiero D’Ecclesiis & Fabio Pappacena vi propongono “LA MANO DEL DIAVOLO” della serie “Le storie del Maresciallo Nunziogallo”, un intreccio misterioso si svolge tra le strade del centro storico di Potenza, tra Via Pretoria e la Chiesa di San Michele si muovono ombre inquietanti, si sentono rumori, voci.
Presenze oscure? Intrighi di provincia?
Ci penserà il Maresciallo Nunziogallo a svelare gli intrighi.
Chi sono i personaggi che si agitano nella storia? Demoni? Fantasmi? Sogni? Che succede nelle case di campagna dei potenti? Notai, avvocati, politici.
Un giro di ragazze squillo?
Un video racconto a puntate da seguire con calma e vedere quando vi va.


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