di Antonio Califano

C’è stato un tempo quando la Cina rappresentava, per giovani ribelli ed inquieti come me, la possibilità di pensare un futuro migliore, si lo ammetto la mia generazione è stata affetta da “maoismo”, una sorta di malattia esantematica del nostro essere comunisti “diversi”, alla ricerca di un’alternativa al grigio revisionismo sovietico. Ero giovane ma prendeva un po’ tutti, da importanti intellettuali, non proprio adolescenti, ad attori, registi (Godard veniva definito il “maoista franco svizzero più coglione della storia”), professori universitari ex cattolici, filosofi, ricordo affollate assemblee romane con Lou Castell, Volontè, Paola Pitagora, Ugo Gregoretti ascoltare i saccenti preti rossi di “Servire Il Popolo”. Non sono pentito avevo un’età in cui i miei coetanei per lo più si dedicavano ad altro, io leggevo il libretto rosso (per la verità leggevo anche qualcos’altro), e tifavo per la rivoluzione culturale, non ci si pente della propria gioventù si va avanti, si cerca di migliorare, si cresce. Ma che nostalgia, la racconta un bellissimo film documentario brasiliano non tradotto in italiano, “No intenso Agora” di Joao Moreira Sales, erano tempi eroici, c’era il Vietnam e tutti tifavamo Cina perché aiutavano i vietcong a prendere a calci in culo gli “yankee invasori”. Poi passati gli anni eroici siamo andati oltre, io sono rimasto comunista ma senza né Dio né Patria, abbiamo seguito l’evoluzione di quella immensa nazione, le lotte per il potere, la banda dei quattro, la fuga di Lin Piao, storia del “secolo breve”. Continuo ad amare la cucina cinese, la sua letteratura arcaica, il poeta Li Po, le arti marziali, Bruce Lee, di cui ho ancora il poster nello studio, la scena finale del film “Dalla Cina con Furore” in cui si lancia con uno spettacolare “yoki tobi geri” contro le truppe invasori giapponesi, ma il resto….lasciamo perdere, un altro sogno che si è trasformato in incubo, ma sono grato a quei sogni, noi siamo della stessa materia dei nostri sogni, gli incubi li lascio a quei signori che “vedono” cinesi mangiare topi vivi e poi ci fanno affari, mascherine farlocche comprese. Io preferisco, osservare, tentare di capire, qualche volta, durante il lockdown, ho avuto voglia di uscire di casa nottetempo e scrivere, come nel film di Bellocchio, “La Cina è vicina”, in onore dei miei maestri situazionisti, ma chi avrebbe capito? Mi avrebbero arrestato, tradotto al Don Uva, siamo un paese che tollera chi defeca nei vicoli, perché vota, ma è allergico alla satira. Ora c’è un paese immenso, dove la miscela esplosiva governo, disciplina “comunista” e mercato libero (sic) ha creato il nuovo “leviatano”, con risorse illimitate, Know How, tecnologia, disciplina, cultura, una crescita economica esponenziale, con una espansione commerciale che spaventa l’occidente, proprio come Chen, con interessi fortissimi in mezza Africa, detentrice di quasi tutto il debito sovrano Usa, ma che ha prodotto il covid 19 (o almeno così si dice). Ma tranquilli se li conosco questi magnifici contadini/ mercanti, marxisti-confuciani, sapranno presto debellarlo ed è capace che nei prossimi anni, depotenziato, ce lo venderanno in gadget come il pulcino Tamagoshi e apriranno un Megastore a piazza del Duomo a Milano.
“L’oriente è rosso/ in Cina è nato / il grande presidente Mao Tse Tung”.
Giù le mani dalla Val d’Agri – Capitolo 2: Non siamo il Bancomat della Basilicata
di Nuario Fortunato

Gli introiti provenienti dall’attività estrattiva in Val d’Agri contribuiscono in maniera massiccia e determinante alla determinazione del Pil lucano. Non certo un elemento trascurabile. Basti pensare che il valore del Prodotto interno lordo regionale è l’indicatore principale che ha spinto la Basilicata fuori dai foraggiamenti previsti dall’Obiettivo 1 che, per anni, ha costituito un ristoro per le nostre depresse aree interne. Partire da questo inconfutabile assunto non è certo puro esercizio di campanilistico o ‘sciovinistico’ localismo fine a se stesso. E’ semplicemente rivendicare, con forza, dignità e protagonismo per un territorio dimenticato, sfregiato, mortificato e delegittimato. Ultima testimonianza ne è la bozza di riforma sanitaria regionale che, nel suo disegno di riordino e riorganizzazione, rappresenta motivo di tangibile declassamento per la Val d’Agri. Si paventerebbe, difatti, l’accorpamento (che fa rima con incenerimento) del Distretto di Villa d’Agri e il depotenziamento dell’Ospedale di Villa d’Agri che, nei fatti, verrebbe relegato a un ruolo secondario e accessorio. Resta l’obbligo del condizionale, in quanto sembra che l’assessore al rampo possa essersi redento sulla via dello Jonio. Nel frattempo la ferita resta e sanguina. La Val d’Agri, come qualsiasi altro territorio, non è un contenitore di ‘utenti’, un pallottoliere di numeri, un ‘recinto’ di pazienti. È uno ‘spazio sociale’ formato da persone, individui portatori di istanze, esigenze, aspettative e aspirazioni. Come si può pensare di pianificare e rimodulare, calpestando la sacralità di principi come la medicina territoriale e la convergenza dei piani socio-sanitari? Se si fosse in possesso di una vision che va nella direzione della distribuzione dell’assistenza non si dovrebbe prescindere dal garantire a ogni cittadino il benessere fisico, sociale e psichico. Questa concezione, dal punto di vista culturale, è radicata nei nostri amministratori/governanti? Se sì, perché non trova proiezione e applicazione sul piano organizzativo e gestionale? Dove nasce la discrepanza? Perché se il problema non fosse attinente a cecità nella gouvernance, si dovrebbe pensare sia di natura squisitamente politica. Con la conseguenza che, se così fosse, ci troveremmo in presenza non di colpa ma di ‘dolo politico’ (non penale ma etico/morale logicamente), che poggia le sue fondamenta sulla ‘volontarietà sociale’ di sottoporre un intero territorio a sciente espoliazione. Non si spiegherebbe diversamente il tardivo e parziale coinvolgimento (se non proprio mancante in alcuni casi) degli attori principale cui, del resto, il Pat riconosce un protagonismo attivo, in ragione del principio dell’intersettorialità e nell’ottica del passaggio dalla sanità alla salute. Sarebbe fondamentale, quindi, capire cosa abbia ispirato e illuminato una strategia così scollegata dalla conoscenza della Val d’Agri e di tutti i territori. Si ha contezza della necessità di un superamento della programmazione impostata e calibrata soltanto sui bisogni sanitari? Tanti gli interrogativi, troppi i dubbi. Tutti legittimi. Questo scenario, se confermato e suffragato con atti legislativi e deliberativi, dovrebbe come minimo portare, per protesta, i consiglieri regionali valligiani alle dimissioni. E i cittadini a incatenarsi davanti ai cancelli dell’Ospedale di Villa d’Agri e del Distretto di Villa d’Agri. Sarebbe legittima difesa nei confronti di una indotta pratica di eutanasia involontaria verso un intero territorio.