2020 – Gli echi delle stanze

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Abbiamo imparato gli echi delle stanze.
Le voci che non si proiettano fuori, con ali autonome, vibranti a cercare nuovi spazi. Ma restano appollaiate tra quadri, soprammobili come tanti uccelli in gabbia.
Abbiamo riscoperto la paura.
Non quella maestosa che piega le ginocchia e chiude gli occhi, ma quella che serpeggia, acquattata nell’ombra. Quella viscosa, che resta sulla pelle come una patina e sembra non andare più via. Ma, soprattutto, l’Altro è diventato una presenza di ansie e timori.
Anche il volto familiare che rassicurava si è trasformato in un non-luogo da non abitare. Ci si rifugia nei filtri dei cellulari, negli spiragli della Rete. Ma ogni porta chiusa serra l’accesso a uno spazio e ne apre, necessariamente, un altro.
La grande conquista è la scoperta del dettaglio interiore. Il più piccolo e prezioso. Quello più nostro. Perché quando ci soffermiamo il Tempo non è più un fiume in piena, ma un lago. Placido, percorribile senza affanni. Un prato selvaggio in cui rintracciamo, finalmente, un ordine. Ci permette di coglierne  i fiori, esaminarne i petali e bere dalle corolle scintille di profumo.
Il socratico “conosci te stesso” non è un limitante apprendimento delle proprie caratteristiche. È anche e soprattutto un riconoscimento della propria appartenenza all’Umanità. E in questi tempi difficili ne abbiamo terribilmente bisogno. Riscoprire nella diversità l’uguaglianza che appartiene al nostro essere uomini ci dona alla Vita. E noi, in questo tempo lungo, piantati come semi tra le mure di case e palazzi, possiamo germogliare in questa nuova consapevolezza. Perché come nella filosofia dello Yin-Yang, in ogni bene c’è un po’ di male, ma anche il contrario. Quindi non esistono un Bene e un Male assoluto.
Questo spaventa, ma allo stesso tempo rassicura. La nebbia è un mantello da prestigiatore. Copre i luoghi e le cose, ma poi si alza e rivela un mondo antico, ma allo stesso tempo nuovo. 

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