Dice un detto: la storia la fanno i vincitori; ma anche gli sconfitti hanno le loro storie e spesso vi dannano dalla memoria i nomi di quelli che dall’altro lato della barricata vengono chiamati eroi.
Se io adesso vi dicessi dei nomi pescati a caso dal cilindro come, che ne so, Attila e Riccardo Cuor di Leone, aprirei in voi tutta una serie di reminiscenze, aneddoti, link a fatti, eventi, libri, persone ed esperienze tutte straordinariamente codificate, tutte simili.
L’anno scorso un ragazzino salì sui tetti dei caseggiati intorno a una Piazza Navona deserta su cui sventolava il tricolore, a suonare qualcosa di Ennio Morricone. In quell’occasione presi atto che i turchi non potevano capirmi (la musica non evocava nulla di preciso in loro!) ma qualunque altro italiano sì perché aveva in comune con me un infinito straordinario. Quella musica richiamava diversi concetti: l’infanzia, la tv in bianco e nero, l’amicizia, l’Italia di quegli anni raccontata, udita, sminuzzata per decenni nei Techetecheté della Rai. Centinaia di parole, milioni di sensi, il fondo unico della verità: l’appartenenza a una dimensione e a un punto di vista sulle cose.
Prendiamo Attila, il Flagello di Dio. La nostra storia non gli fa onore perché egli non era un invasato distruttore, ma un condottiero, abile e istruito. Chi da noi in Italia ne approfondisce la realtà storica scopre che Attila studiò a Roma (conosceva il latino) dove trascorse la sua giovinezza mentre Flavio Ezio, magister militum, condottiero e generale romano, visse la sua giovinezza presso gli Unni. Ambasciatori entrambi, poliglotti, istruiti nella propria e nell’altrui cultura, addirittura compagni, pare! Insomma, Attila era tutto fuorché un barbaro.
In egual modo, ma di segno contrario, il grande re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone fratello del meno fortunato Giovannino Senzaterra che si ciuccia il pollice nel cartone di Robin Hood (con la canzoncina che tutti conosciamo Robin Hood e Little John van per la foresta e ognun con l’altro ride e scherza come vuole, son felici del successo delle loro gesta urca urca tirulero oggi splende il sol).
Riccardo era un Crociato, vale a dire, secondo i turchi e la loro visione della storia, un assassino. Un uomo spietato (sempre in prima linea!) che ha immotivatamente trucidato la gente nel suo viaggio di razzie verso la Terra Santa. A sentirla raccontare da quella parte del mondo la storia della Terza Crociata è fatta di poche certezze: un papa, Gregorio VIII, che ordina uno sterminio, tre re (di Francia, Germania e Inghilterra) che intanto che ammazzano a filo dritto litigano anche tra di loro (e qui vedo molte assonanze con la nostra storia coloniale recente) e dall’altra parte un uomo di inarrivabile grandezza, Ṣalāḥ ad-Dīn (Saladino, che anche in Occidente, gioco forza, viene onorato nei nostri libri, perfino nei sussidiari gli si dedicano un paio di paragrafi tale é la sua rilevanza) e l’imperatore bizantino Isacco Angelo che si alleò con i turchi prendendo atto che le barbarie e le violenze degli eserciti cristiani erano esagerate, per così dire.
Il concetto di vittoria e di sconfitta cambia e dipende dai presupposti con i quali agiamo nella vita, con i quali speriamo che qualcosa accada o non accada. Pensavo di saperlo, di averlo assodato ma invece sono concetti che ho concretizzato da poco ovvero da quando in Turchia mi capita di fallire nel dialogo con la gente. Un ragazzo che si è, secondo me, guadagnato un certificato di esenzione dal servizio militare obbligatorio, e al quale io dico: ah dai, che bello meno male! Pensa che io lo stia prendendo in giro e si fa scuro in volto. Per me è una vittoria (meglio il servizio civile, no?), per lui è una sconfitta (la leva ti fa le ossa). La gente in gergo chiama quel certificato çürük raporu, certificato di marcio. Sei marcio, non servi a niente. Anzi çürük (si legge ciuruk) si usa anche dal dentista per dire che un dente è cariato e va estirpato. Un po’ diverso (ma altrettanto curioso!) il brindisi italiano per la furbesca scappatoia alla leva, di cui sono altrettanto piena di aneddoti.