Io, il colera, le corna del Presidente Leone e il vaiolo

Nel 1973, avevo 11 anni, mia madre mi disse che per colpa delle cozze crude a Napoli era scoppiata un’epidemia di colera, non si poteva bere l’acqua del rubinetto, era vietata anche la balneazione, perché le fogne soprattutto in periferia, scaricavano direttamente nel mare.

Il presidente della Repubblica, Giovanni Leone, in visita ufficiale alla città in cui era nato, era stato immortalato all’ospedale Cotugno mentre faceva scaramanticamente le corna. Alla faccia del vibrione. E della scienza.

Poiché a Torre del Greco erano decedute le prime due donne, pensai che fosse meglio vaccinarsi che affidarsi agli scongiuri.

Erano i primi giorni di settembre e faceva un gran caldo, senza pensarci due volte andai dall’ufficiale sanitario, Donato Viceconte, che nell’ambulatorio vaccinava chiunque lo volesse.

Avevo i pantaloncini corti e le calze bucherellate che arrivavano sotto il ginocchio con un elastico che strangolava.

Il dottore mi scrutò dal basso in alto ma non mi chiese nulla. Mi inoculò il vaccino e me ne ritornai a casa, con passo marziale. Raccontai ai miei genitori, increduli, la mia prodezza.

Mi sentivo un piccolo guerriero anche perché avevo sul braccio “a variola” o “bariola” in dialetto, la cicatrice che restava come uno scudetto sul bicipite dopo la vaccinazione del vaiolo. Avevo fatto il secondo richiamo nel 1970, tre anni prima, ed ero convinto che quel marchio, come un amuleto, mi infondesse coraggio e mi proteggesse.

Sono sempre stato orgoglioso di quella cicatrice, quasi una ferita di guerra, causata da un ago biforcuto, scarificante, che dava un febbrone, una forte eruzione cutanea, e nel giro di qualche giorno si gonfiava di pus, fino ad esplodere. Poi si incrostava per diverse settimane, fino a cadere come frammenti di intonaco da una vecchia casa, per lasciare il cheloide da esibire sotto la maglietta a mezze maniche, per tutta la vita.

La “Variola”, ho poi scoperto, era il nome latino scientifico del virus (Variola virus, maior e minor), una malattia antichissima, che persino Ramses V (1146 a.C.), il faraone, aveva contratto, nell’antico Egitto. Il vaiolo e le sue epidemie ci hanno accompagnato per 10.000 anni, dicono gli esperti, un’eternità, devastando corpi e uccidendo milioni di persone.

Fortunatamente (soprattutto scientificamente e non mulinando le corna), da qualche decennio è stato completamente debellato (1979), grazie proprio alle vaccinazioni di massa. E se un giorno mia figlia mi chiedesse perché lei è senza questo strano tatuaggio al braccio, le risponderei con orgoglio: “Non c’è stato bisogno. L’ho fatto io per te”.

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