Il Nobel per la Letteratura per il 2021 è stato assegnato allo scrittore Abdulrazak Gurnah, nato a Zanzibar nel 1948, uomo del Sud più a Sud, figlio della faglia del colonialismo, costretto a fuggire dopo un colpo di stato in Tanzania. Docente universitario nell’università di Canterbury ha dedicato tutta la sua attività didattica e di ricerca alla letteratura post-coloniale. Non solo, l’ossessione del tema è trasudata, a quanto leggo, nell’opera narrativa e nei romanzi. Non ho difficoltà a dire che non lo conoscevo. E dai commenti che leggo sono in buona compagnia.
Gli accademici di Stoccolma, le cui scelte sono difficilmente prevedibili, e a volte incomprensibili, come quando decisero di assegnare il Nobel a Bob Dylan, hanno di nuovo spiazzato i bookmakers. Personalmente cercherò di rimediare, acquistando i suoi libri.
Sono un curioso. E di questo non smetterò mai di ringraziare i miei genitori, per questo dono.
L’episodio mi ha fatto venire in mente quando il Nobel per la Letteratura venne assegnato al poeta italiano, Salvatore Quasimodo. Dal Nobel di Luigi Pirandello erano passati 25 anni. Era il 1959. Ma l’Italia dei dotti non apprezzò la scelta. E alla notizia del prestigioso riconoscimento al poeta di Modica, reagì in modo isterico.
Tanti furono i detrattori. I critici letterari, i colleghi poeti, gli uomini di cultura, quando non intervennero per svuotare la boccetta di fiele, evitarono di commentare l’accaduto, glissando. Il silenzio fu in alcuni casi ancor più rumoroso dell’invettiva. La storia della letteratura è anche storia di invidia e gelosia tra letterati, spesso fanciullini in una pozzanghera di fango.
Luigi Russo, ad esempio, invitò gli accademici svedesi a cambiar mestiere. Giuseppe Ungaretti, andato su tutte le furie, durante una festa all’ambasciata russa, li definì “ridicoli”. Emilio Cecchi, il meno acrimonioso, se ne uscì con un “a caval donato non si guarda in bocca”. Quasi a dire, be’, meglio che il Nobel venga in Italia, piuttosto che altrove.
Salvatore Quasimodo venne acclamato in tutto il mondo, tranne che in patria, dove in pochi si congratularono con lui: Leonardo Sinisgalli, Gianni Brera, Leonardo Sciascia e qualche altro.
Personalmente ho amato molte delle poesie di Quasimodo, così come le sue traduzioni. E quando mi capita di dover spiegare cos’è per me la poesia, quanto sia importante la pausa e la punteggiatura, quanto conta il valore fonosimbolico sia delle parole che del silenzio stesso, amo dire, esasperando la sintesi, che la poesia è una virgola.
La virgola che il poeta di Ed è subito sera inserisce nel titolo e nell’ultimo verso di “Ride la gazza, nera sugli aranci”.
La poesia è nell’allontanare, con la spinta di una virgola, con il suo microscopico baratro, la gazza dal suo prevedibile e scontato colore, trasformando il “nera” in una macchia, in una sensazione, in un’emozione. In una proiezione. Poesia appunto.
Festeggio così il Nobel a Abdulrazak Gurnah. Ricordando il poeta di “Uomo del mio tempo”. Anche lui nato in un’isola. Anche lui fuggito dalla terra che amava.
Ride la gazza, nera sugli aranci
Forse è un segno vero della vita:
intorno a me fanciulli con leggeri
moti del capo danzano in un gioco
di cadenze e di voci lungo il prato
della chiesa. Pietà della sera, ombre
riaccese sopra l’erba così verde,
bellissime nel fuoco della luna!
Memoria vi concede breve sonno:
ora, destatevi. Ecco, scroscia il pozzo
per la prima marea. Questa è l’ora:
non più mia, arsi, remoti simulacri.
E tu vento del sud forte di zàgare,
spingi la luna dove nudi dormono
fanciulli, forza il puledro sui campi
umidi d’orme di cavalle, apri
il mare, alza le nuvole dagli alberi:
già l’airone s’avanza verso l’acqua
e fiuta lento il fango tra le spine,
ride la gazza, nera sugli aranci.