«La fiamma più attiva, più sicura, più economica. Agipgas. La bombola che costa di meno perché dura di più», recitava uno slogan.
E chi si dimentica della bombola del gas! Quella piccola o quella grande. Da 10 o da 15 kg. Fu una rivoluzione nelle case. A Nord come a Sud. Soprattutto nelle campagne e nei piccoli paesi, lontano dai grandi centri, dove non esisteva un’estesa rete di gas. Niente più fuliggine e fumo. Finalmente la bombola, con la sua fiamma azzurrognola, eliminava la legna, il carbone e i relativi odori. La cucina a gas sostituì in un battibaleno l’antichissima fornacetta a legna o “l’infernale ordigno del fornello a carbone”.
Bastava uno zolfanello per accendere. Rapidamente. Altro che soffietti, altro che segatura, altro che fascine, altro che braci transitate dal caminetto, altro che ciocchetti e tocchi di carbone. E basta con la cenere che te la ritrovavi dappertutto. Tante piccole e laboriose operazioni spazzate via da un’idea geniale: quella di portare nelle case, il gas liquido del sottosuolo italiano.
Grazie all’Agipgas, di Enrico Mattei, il Gpl (Gas di Petrolio Liquefatti) portò la modernità in cucina, sotto forma di un cilindro metallico, che garantiva il salto evolutivo, dal preistorico carbone alla fantascienza dell’industrializzazione, anche lontano dal famigerato Triangolo. Il Gpl era pratico ed economico. Dal nero fumo, che impregnava abitazioni, capelli e indumenti, passammo alla fiamma inodore e pulita. Civili, ci sentimmo più civili. Meno cafoni.
Che bella la pubblicità con quel gattone verde, striato, a tre zampe, con la fiammella che usciva dalla coda ricurva! Chiaro richiamo al cane a sei zampe, ideato da Luigi Broggini per l’Eni.
In pochissimo tempo gli utenti divennero milioni. Un successo clamoroso dovuto a un intelligente battage pubblicitario ̶ poster, radio e carosello in Tv ̶ , e ai tantissimi premi immediati (in un anno 70.000 per un valore di 200 milioni di lire) che venivano sorteggiati (occorreva inviare il tagliando che era allegato al sigillo della bombola) ogni settimana: radio, televisori, cucine e frigoriferi. Le cartoline partecipavano infine a una estrazione finale con 2.000 prestigiosi premi, tra cui 50 automobili «Giulietta» dell’Alfa Romeo.
Ma anche a chi non era fortunato, a fine anno, il distributore non lesinava il leggendario calendario dell’Agipgas, che doveva campeggiare in casa a fianco di Madonne e fotografie di parenti emigrati in terra straniera, come si diceva.
Che felicità, da ragazzo, stare nei pressi della piazza (ora di pranzo oppure ora di cena) ed essere chiamati per portare a domicilio la bombola del gas. Giuseppe, il rivenditore, era anche barbiere, ti consegnava il carrello per il trasporto (era giallo), la bombola e una chiave inglese per togliere il sigillo, inserire il regolatore con la valvola, e collegarla alla cucina, dopo aver scollegato la vuota. Al rientro, 500 o 1000 lire, erano la giusta ricompensa per il lavoro svolto.
Una fortunata pubblicità dell’Agipgas, in un avanguardistico mix di animazione e ripresa, che veniva proiettata a colori nei cinema di fine anni Cinquanta, prima della visione del film, diceva: “Evidentemente la felicità che tutti desideriamo sta rinchiusa tutta quanta dentro a queste bombole Agipgas”.
E noi ragazzi lo sapevamo, perché quel carrello (per noi era la carriola) era il vero oggetto del desiderio. Sembrava assurdo. Ci pagavano per qualcosa che avremmo fatto anche gratis. Il folle gusto era nella corsa, nei dribbling, nelle curve, nei saliscendi, lungo strade sconnesse e vicoli sgarrupati. Ci divertivamo soprattutto al ritorno, quando il carico della bombola era più leggero e le acrobazie più rischiose. Si diventava di nuovo “professionali” in prossimità della piazza, per evitare di essere adocchiati, e non pagati, dal cerbero Giuseppe. Era quella la felicità, di cui parlava la pubblicità. Lo sapevamo, senza mai averla vista.