La distanza e la leggerezza

Orione è una delle costellazioni più grandi fra quelle che ornano il nostro cielo. È il re delle notti invernali. Ed è anche lo sfondo immutabile alle spalle di due sonde spaziali. Le sole giunte oltre i confini del sistema planetario in cui esistiamo.

Avevo 12 anni nel 1977, quando furono lanciate Voyager 1 e 2. Non c’erano i telefonini e non c’era Internet, eppure sembrava che non mancasse niente. Anzi… ricordo che a casa avemmo il telefono, quell’anno. L’ultimo modello: grigio e con la ruota forata in corrispondenza dei numeri da zero a nove. Intanto sognavo, e le partenze dei razzi delle quali leggevo (su “Scienza e Vita”, soprattutto) mi facevano andare lontano. Sentii parlare per la prima volta dell’“effetto fionda” (noto anche come “gravity assist” o “swing-by”): dicevano che senza la grande intuizione dell’ingegnere aerospaziale Gary Flandro (risalente al 1965), sarebbe stato impossibile, con la tecnologia disponibile allora (e anche oggi) andare oltre Giove, e quindi svincolarsi dall’attrazione solare. La parola “fionda” mi faceva pensare all’oggetto, ricavato con forcella e molle, che i miei coetanei, quando eravamo poco più che bambini, usavano per abbattere i passerotti. Applicata alle cose del cielo, evocava in me un misto di potenza e di mistero. Passarono diversi anni, prima che potessi tornare all’argomento con il bagaglio fisico e matematico necessario a comprenderlo per bene (nell’essenza, si tratta di un “furto” di momento di quantità di moto infinitesimo a un pianeta), assieme alle orbite di Hhomann, quelle che ci permettono di andare sulla Luna e su Marte con “poca” spesa. Ne rimasi affascinato.

Oggi Voyager 1, che trasporta messaggi umani su dischi d’oro chissà per chi e chissà dove, sta percorrendo lo spazio siderale a più di 60mila km/h, a una distanza di 23 miliardi di chilometri dalla Terra. I deboli segnali che ancora invia impiegano più di 21 ore per raggiungerci, viaggiando alla massima velocità consentita, quella della luce nel vuoto. Entrambe le sonde, ancora vive, resteranno lì, nel quasi-nulla della nube di Oort, da dove arrivano le comete, apparentemente ferme per un tempo interminabile. Sempre Voyager 1, tra quasi 17mila anni e a una distanza di 3,59 anni-luce, arriverà nel sistema di Proxima Centauri, la stella più vicina al Sole, la quale, tra l’altro, ha un pianeta che promette bene. Chissà come sarà la Terra allora, e cosa ne sarà stato dell’umanità! Intanto, da 23mila km di distanza, il Sole  è un puntino di luce appena visibile ai piedi di Orione, e il nostro Pianeta non esiste. Eppure stiamo parlando di una regione dell’universo che, presumibilmente, rappresenta un granello di sabbia del Sahara, sia nel tempo che nello spazio, se paragonato all’ignoto “tutto”. Ecco perché è opportuno e saggio vivere le nostre vite in uno stato di profonda leggerezza, mentre, infinitesimi nella materia e nella durata,  navighiamo in un’altra immensità: quella delle nostre coscienze.

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