Ecosistemiamoci

Ci sono parole o concetti che vengono cartolarizzati come gli immobili nei processi di privatizzazione o i titoli di debito.
Da quel momento assumono vita propria e corrono più veloci del significato che vi è sotteso, complice la reprimenda abitudine collettiva al linguaggio riconoscitivo. Il linguaggio riconoscitivo è quello che forgia il senso di appartenenza alla comunità, che consente ai partecipanti di riconoscersi in un contesto.

Condividi

Ci sono parole o concetti che vengono cartolarizzati come gli immobili nei processi di privatizzazione o i titoli di debito. Da quel momento assumono vita propria e corrono più veloci del significato che vi è sotteso, complice la reprimenda abitudine collettiva al linguaggio riconoscitivo. Il linguaggio riconoscitivo è quello che forgia il senso di appartenenza alla comunità, che consente ai partecipanti di riconoscersi in un contesto e che, ad esempio, complice un uso perverso della lingua inglese, nei dialoghi professionali ormai ha sostituito la “call” alla “riunione” e la verifica di uno “slot libero” alla disponibilità a parlarsi in una data ora.

Pare che l’italiano sia una forma linguistica tendente al barocco, a rischio costante di anacoluti, perifrasi e circonlocuzioni e quindi, in quanto tale eccessivamente “time consuming” nell’economia del discorso.

Ma il concetto su cui intendo soffermarmi, a titolo di esempio, è costruito schiettamente in lingua italiana: ecosistema dell’innovazione, sebbene si presti poi ad essere declinato subito attraverso l’ausilio della stampella anglofona: una rete di enti che potranno essere organizzati con una  struttura di governance di tipo Hub & Spoke, con l’Hub che svolgerà attività di gestione e coordinamento e gli Spoke quelle di ricerca. Così ci spiega il bando del PNRR dedicato agli ecosistemi dell’innovazione tterritoriali la cui seconda fase si chiuderà in corso di settimana (e sul quale sono candidate diverse proposte lucane, per le quali incrociamo le dita, di cui una finanziariamente particolarmente rilevante centrata sull’area di Tito scalo). E’ sempre il bando del PNRR che ci conforta e rappresenta a noi poveri mortali che gli ecosistemi dell’innovazione altro non sono che “reti di università statali e non statali, enti pubblici di ricerca, enti pubblici territoriali, altri soggetti pubblici e privati altamente qualificati e internazionalmente riconosciuti, che intervengono su aree di specializzazione tecnologica coerenti con le vocazioni industriali e di ricerca del territorio di riferimento, promuovendo e rafforzando la collaborazione tra il sistema della ricerca, il sistema produttivo e le istituzioni territoriali”. Capo d’ombrello, potrebbe dirsi se volessimo usare espressioni forti.

A dire il vero il tema non è una sfolgorante novità: di “ecosistema dell’innovazione” si comincia a sussurrare almeno da un paio di anni a questa parte, il PNRR ha in fondo fornito un contributo sostanziale a rendere “mainstream” la definizione di un approccio organizzativo delle risorse di un territorio orientate/orientabili verso un processo di creazione innovativa e di produzione di valore aggiunto.

Insomma l’idea di base è provare a costruire rapporti di “cross fertilization” tra ricerca e soggetti dell’economia locale capaci di articolarsi in forme concrete di operatività, il tutto senza abdicare completamente all’elemento della “techne”, ma valorizzando anche le componenti di rete, relazioni e identità del territorio e la sua capacità di produrre innovazione nei processi. Che già mentre lo scrivo mi chiedo se ho veramente capito.

Ma del resto, a prescindere dalla diade “ecosistema-innovazione” complessa perché anche l’innovazione in sè è materia sfuggente, il concetto di ecosistema è tendenzialmente in rialzo nella borsa dei vocaboli degli addetti ai lavori. Debordato da tempo dall’area naturalistica, rispetto alla quale abbiamo capito cose fosse un ecosistema grazie a sussidiari delle scuole elementari, oggi si parla di ecosistema olistico per definire gli ambienti di apprendimento, di ecosistemi urbani, di ecosistemi territoriali. Rapportato ai processi di sviluppo in maniera grezza e semplificata potremmo arrivare a dire che l’approccio ecosistemico punta a impiegare le risorse concentrandosi non tanto sui singoli investimenti ma assegnando valore alle relazioni di contorno agli investimenti stessi. Secondo questa logica non a caso l’Accordo di Partenariato 2021-2027, documento che negozia con l’Unione Europea le modalità di utilizzo dei fondi FESR e FSE+ in Italia, parla di “servizi ecosistemici” non solo con riferimento ai settori ambiente e biodiversità, che una mente semplice potrebbe pure aspettarselo, ma anche con riferimento alla strategia per aree interne o all’innovazione sociale.

Insomma  di ecosistemi, siano di innovazione o di altro tipo, sentiremo parlare sempre più spesso negli anni a venire, sono pronto a scommetterci. Talvolta il concetto verrà usato con la stessa potenza catartica della rifoderatura di un vecchio divano a cui si conferisce una tappezzeria a tinte più colorate (di modo che ad esempio fertilizzare ecosistemi proattivi a scala locale sarà più intrigante che continuare a fare consunta animazione territoriale), altre volte verrà declinato come mero effetto annuncio di valore chimerico, altre volte ancora con più pertinenza potrà sostenere nuovi impulsi per la costruzione di relazioni positive sui territori in grado di produrre innovazione o nuove modalità per innescare dinamiche di crescita. Ovviamente non resta che augurarsi che siano numerose le occasioni nelle quali il concetto di ecosistema, di innovazione tecnologica, culturale o territoriale che sia, assumerà il valore rappresentativo di reali processi positivi di rete collaborativa e proficua tra gli attori coinvolti.

Come spesso accade quando si introducono concetti complessi in pochi avranno piena consapevolezza del valore semantico del costrutto espresso, in diversi ne avranno una approssimativa intuizione e lo masticheranno con cautela, in moltissimi prevarrà una liberatoria e inconsapevole pratica ripetitoria, che darà luoghi a mille varianti possibili, mille ecosistemi diversi, uno per ogni circostanza. Un ecosistema non si nega a nessuno. Ecosistemiamoci tutti, prima che si ecosistemino gli altri, prima che sia troppo tardi e ecosistemarsi non sia più una virtù.

Condividi