(Fine agosto\inizio settembre 2000)
National Palace – Gerusalemme Est – un misto di decadenza e lusso demodé. Una reception consumata, stantio odore di tabacco. Un luogo che sicuramente aveva conosciuto giorni migliori, ci sono posti e persone di cui non si può dire nemmeno questo.
Era lì da giorni ad aspettare, una persona, un ricordo, una ispirazione, forse un Dio, uno dei tre, di quelli che vi abitano ma non hanno abbastanza tempo per occuparsi di quello che vi succede.
Prima delle undici di sera, con alle spalle una brezza gentile che compensava la calura del giorno, attraversò la porta di Erode . Percorse a sinistra Bab Hutta per prendere la Via Dolorosa dall’inizio e per sentire l’odore del tè e dei dolci al miele di un bar all’angolo. Il tempo lo seguiva ad ogni passo, ad ogni appoggio incerto sulle pietre dissestate.
Si immise sulla via Dolorosa, lì dove comincia.
Lungo la strada che conduce alla Porta dei Leoni, sulla sinistra, un gruppo di palestinesi giocava una improbabile partita a calcio, un giovane bruno corse a raccogliere la palla vicino ai suoi piedi, gli sorrise. Che bello il sorriso della gente in una notte di estate a Gerusalemme est!
Tirò un lungo sospiro, poi un altro col diaframma, come gli aveva insegnato la lunga pratica di Yoga, il suo sangue si irrorò di tè, frutta, kebab, hashish, dolci, cannella, acqua, santità, odio, incenso. Era diretto al quartiere Armeno, ma decise di prendersela comoda.
Percorse le stazioni della via del Dio che si fece uomo, superò l’arco dell’Ecce Homo lasciandosi alle spalle il convento della flagellazione, un brivido gli percorse la schiena. Si immise su El-Wad, la più araba delle vie del quartiere mussulmano, lo percorre tutto: si lancia dalla Porta di Damasco e va a schiantarsi sul Muro del Pianto.
Si fermò a bere un tè alla menta ad un bar, di fianco giovani ridenti entravano ed uscivano da un bislacco internet caffè, li osservò a lungo e loro risposero agli sguardi, sostenendo il confronto con sfacciataggine, ma non con tracotanza, con gli occhi dei popoli del mediterraneo che scrutano orizzonti lontani anche nelle cose più vicine, che sognano viaggi e popoli sconosciuti negli occhi di uno straniero o anche in quelli di un turista al seguito dell’ennesimo holyland tour organizzato dalla parrocchietta di chi sa dove.
Guardò l’orologio, doveva incontrare qualcuno a mezzanotte davanti alla chiesa armena di San Giacomo, c’era ancora tempo ma affrettò ugualmente il passo, voleva arrivare prima, controllare il terreno, guardarsi intorno, coltivare ancora un po’ la sua solitudine. Recuperò il tempo attraversando con passo svelto la spianata del muro del pianto. A disagio, dopo il check point israeliano, il passo accelerò automaticamente aumentando man mano che percepiva quello che stava accadendo. Era venerdì sera, il muro era oscurato da cinque, sei file parallele di circa trenta persone l’una che si muovevano ritmicamente e intonavano sordide litanie, percepiva ostilità nei suoi confronti. Cazzo, si erano date appuntamento tutte le comunità ortodosse di Gerusalemme! Ortodossi vestiti di nero, neri a larghe falde i cappelli, i capelli lunghi a treccine, neri, il muro bianco, lì fermo, immobile , in sopportazione, in alto i riflessi delle luci della moschea di Omar, Qubbet es-Sakhra, la spianata delle moschee chiusa e sigillata da verdi porte di ferro che ne impediscono l’ingresso da una certa ora in poi. Sulla destra salì una scalinata che lo immise sul Cardo e di li rasentando i muri lindi e rifatti di scuole talmudiche, associazioni e biblioteche, passò al quartiere armeno. Si risentiva a casa il quartiere armeno è come quello palestinese solo più pulito, meno caotico, più tranquillizzante, quello che ci voleva.
Attraversò l’ Habad e poi girando per la Or Ha-Hayim raggiunse la cattedrale di San Giacomo.
La porta sul cortile era accostata , la spinse ed entrò nella corte rettangolare che immette alla chiesa. Silenzio, un forte odore di incenso veniva dall’interno, sedette su un grosso gradone di pietra da cui vedeva una antica finestra, incorniciata in decorazioni solenni.
Aspettò, semplicemente. Fu preso da un torpore metafisico, come all’improvviso sentì il peso dei luoghi, dei ricordi, sperò che il suo incontro ritardasse per poter indugiare in quello stato di pace surreale.
Gli si materializzò davanti, all’improvviso, senza preavviso, come emerso dalle viscere della terra, alto, magro, incredibilmente pallido e biondo in un elegante abito scuro, la giacca anni settanta con la chiusura superiore molto alta. Il fez turco di colore nero gli conferiva un’aria solenne e ne aumentava la già notevole altezza, accentuandone la magrezza, aveva una camicia bianca con bottoni al collo e una sottile striscia di cuoio come cravatta.
- Ah , tu non sapevo che avrei trovato proprio te.
- E dove, se non qui, ora, c’è tanto da fare. E poi ho saputo che mi cercavi.
- Beh, una volta non è che frequentavi troppo la città.
- Altri tempi, troppa folla , troppi profeti, santi, mashiach. Ora mi sento a mio agio. Tu piuttosto, non ti sei stancato ancora….. Ti vedo smagrito, trasandato, quella barba bionda incolta, non ti rassegni, alla fine ritorni sempre qui. Eppure te ne hanno fatte, un po’ tutti.
- Sai ognuno ha il proprio destino, e poi ho una missione da compiere. Devo chiederti di ..
- Andarmene, vero? Tranquillo me ne vado. Missione compiuta….adesso faranno tutto da soli. Anzi ascolta un consiglio sparisci, sta diventando pericoloso qui. A giorni si ricomincia e la colpa è sempre dei vostri capi.
- Sono arrivato tardi?
- No, sei arrivato presto. E poi ho fatto veramente poco questa volta…abbiamo lavorato talmente bene in precedenza che c’è una sorta di automatismo, era tutto già pronto, Mossad, Cia, Tanzim, Hamas. E poi la gente …, si è tirata troppo la corda ultimamente.
- Tutti amici, eh.
- No, no, solo qualcuno, solo qualcuno ma di quelli importanti.
- E come comincerà?
- Con gli effetti speciali, con una profanazione, uno scontro fra simboli. Geniale,
ma purtroppo non è una mia idea, ma l’ho subito apprezzata. Ti dico geniale, meglio delle
altre volte.
- Suppongo che durerà.
- Credo proprio di si, forse fino alla fine, se ti fai i fatti tuoi, sicuramente.
Bueno ora devo andare, devo concordare gli ultimi dettagli .
- Parli spagnolo ora?
- Sai ho frequentato molto l’America Latina, Cile e Argentina soprattutto. Ricordi? E poi sento che fra non molto riavranno bisogno di me anche da quelle parti.
Si allontanò all’improvviso come era arrivato, si sentì solo un tramestio di zoccoli sul selciato.
Era ora che si mettesse anche lui al lavoro.