Potrei continuare a parlare della vicina guerra in corso anche questa settimana, e dire del rischio di un conflitto nucleare su grande scala. Oppure del legame che intercorre fra l’impatto antropico sul Pianeta e le pandemie. Ma mi rendo conto che non servirebbe a niente, e così ho deciso di scrivere altro, su questo ventitreesimo numero della mia rubrica “La mela e la luna”, il cui titolo già annuncia pensieri che se ne vanno rigorosamente per la tangente. Voglio scrivere di felicità, di quella vera, autentica, che si può sperimentare, magari solo grazie a un sorriso, anche in un rifugio sotto lo bombe; di quella felicità che impariamo a conoscere da bambini, ma che poi, una volta entrati nel ruolo di un “copione” al quale è difficile sfuggire, disimpariamo, o piuttosto trasfiguriamo, inseguendola su improbabili percorsi asintotici, dove il presente è ogni volta l’inferno dove pagare l’ultima rata per un riscatto che non arriverà mai.
La felicità, invece è già nel vento, nel profumo della primavera, in un gioco che si può comprare a quattro soldi, nella bellezza non troppo sofisticata, quella sincera. E la potenza poi, quella beh… se non ce l’hai già dentro, nel cervello, non la troverai da nessun’altra parte, se non come incompiuta, frustrante, che anela sempre a un di più, a un “dopo” illusorio e inesistente. Della felicità non si può nemmeno parlare troppo, perché altrimenti essa si dilegua. Quindi non vado oltre, certo di avere già evocato la sua essenza.
