Il sistema sanitario in Turchia

In Turchia la sanitá è privata.
È la risposta che negli ultimi due anni ho dato a chi mi ha detto, insinuando, che i turchi non sono no vax perché sono abituati ad obbedire. Accidenti, ho pensato. Quante offese in una sola frase! No, cari signori. È che in Turchia in generale se ti ammali e non hai le risorse, cioè i soldi per pagare, non puoi accedere all’ospedale, neanche a quello pubblico.


Quando sono arrivata in Turchia ho fatto regolare richiesta di permesso di soggiorno e mi è stato dato un numero di carta di identitá che, per gli stranieri, inizia con le cifre 99. Quando ho iniziato a lavorare, a questo numero è stato associato un ulteriore dettaglio: il SGK (si legge: se ghe ca). ll SGK è da intendere come l’universo di diritti che un onesto lavoratore matura (come i contributi pensionistici) più il diritto di accedere alle cure mediche (medico di famiglia + ospedale). Infatti tramite il SGK io posso accedere gratuitamente agli ospedali pubblici. L’ospedale pubblico, peró, è un carnaio, ti becchi il medico che ti capita e il personale lavora a catena di montaggio, non ti guardano neanche in faccia, sei uno in mezzo a un migliaio. Efficienti sulla velocitá con la quale ti prendono in carico (anche se il Covid in realtá ha rallentato tutto) ma inflessibili sugli orari: se arrivi in tempo è bene sennó avanti il prossimo.


Che succede invece se non si ha il SGK nè altre assicurazioni private sulla salute? In caso di emergenze, come incidenti e tragedie varie nelle quali la gente arriva priva di sensi o in grave stato, l’ospedale ti assiste in pronto soccorso ma poi ti addebita il costo di tutte le cure, le analisi e i provvedimenti sanitari che ti ha dedicato. In una parola: ci si risveglia indebitati con lo Stato.

Un gruppo di persone con cui ho parlato, e che per svariati motivi non ha il SGK (ma non sono dei senzatetto, tutt’altro), mi ha detto che nei casi tragici (operazioni a figli malati, incidenti, grandi emergenze) la comunitá di conoscenti cerca di aiutare (qualcuno fa proprio la questua in giro per il quartiere) oppure, cito alla lettera, «se puoi tornare a casa sulle tue gambe (cioè se non sei moribondo) resisti». Resisti è un po’ l’approccio alla vita qui. Per esempio in pronto soccorso, contrariamente all’Italia, qui non esiste un sistema diagnostico vero e proprio, ma si tende a risolvere il problema, la şikayet (la lamentela) che il paziente reca con sè. Sikayetiniz nedir? Che cosa lamenti? Una pezza a colori (di solito una flebo o un’iniezione di qualcosa) e poi se vuoi approfondisci da te in futuro, ti prenoti una visita, ti fai consigliare dal medico di famiglia oppure vai un po’ alla cieca, in generale dici: vediamo come sto domani e poi si pensa. Questo tocca nervi scoperti: le analisi di routine non sono un’abitudine diffusa, c’è questa idea che la gente sta bene finchè sta bene e poi come vuole Dio. Degna di nota é anche la Yeşil Kart per chi ha reddito zero, si tratta di una carta sanitaria ma non so bene come funzioni né se la rilascino ancora, i grandi flussi migratori hanno contribuito a cambiare alcune dinamiche e non sono adeguatamente informata in merito.
Ma torniamo a noi: fino a qualche anno fa, prima che venisse informatizzato tutto e creata l’App apposita, per uno straniero accedere al servizio di prenotazione del SGK non era proprio intuitivo per cui sia io che altri preferivamo mettere mano al portafogli ed entrare in una qualsiasi clinica di quartiere. Eravamo avvantaggiati in questo passaggio dal fatto che il governo turco per rilasciarci il permesso di soggiorno (sul quale viene poi richiesto il permesso di lavoro e quindi il SGK) ci obbligava a stipulare una costosa assicurazione sanitaria (che noi di qui chiamiamo propriamente L’INVESTIMENTO) che copre in varie percentuali le spese mediche negli ospedali privati.
Ricordo che nel 2016 ero entrata in una clinica e avevo chiesto di vedere un kadın doktoru (un medico delle donne, alias ginecologo) e l’impiegata dell’accettazione, vedendo la tesserina ANADOLU SIGORTA (un tipo particolare di assicurazione privata) mi tiró fuori il foglio con una lista lunghissima di trattamenti medici.

«Che cos’è?»
«Check up, con sconti buoni.»
«Ma io veramente…»
«Se fa pacchetto completo risparmia, è inclusa anche una risonanza total body, vede reni, polmoni… poi fa anche le analisi per il cuore!»


Ricordo che parlava a scatti perché io dall’altra parte non capivo una cippa di turco, riconoscevo il nome delle parti anatomiche, qualche organo… Ma più di tutto ero rimasta lì impalata perché non capivo il concetto stesso del check up e del foglio con la scontistica. È questo il disagio culturale: quando ti muovi in un contesto che credi noto ma intorno a te percepisci che è tutto sbagliato.
L’idea invece era molto semplice: giá che entri in ospedale fatti rivoltare come un calzino così non ci pensi più per altri vent’anni. Intiende?
Del servizio di assistenza sanitaria pubblica posso dire poche cose certe basate sul mio succinto rapporto con gli ospedali: la prima è che quando finalmente riesci a vedere un medico, questo, pur non guardandoti neanche per sbaglio, ha l’abitudine di visitarti, di mettersi in ascolto del corpo attraverso il tatto e la pressione delle mani. La seconda è che ho dovuto scendere a compromessi con un nuovo standard di igiene, ma la chiudo qui perchè questa è un’altra storia.
Di tutte le immagini che ho in mente, peró, c’è quella del medico di pronto soccorso che dopo un paio di domande lampo, in assenza di SGK o eventuale altra assicurazione privata, ti indica il banco dove si paga: o torni indietro con la ricevuta oppure niente. E questo, per i Paesi che agiscono così, penso che sia uno dei più grandi fallimenti del vivere comunitario.

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