La bicicletta di Taccone

Il quartiere negli anni sessanta non è che godesse di grande fama. La parte centrale, tutte case popolari a tre /quattro piani, aveva i suoi limiti geografici a nord nel “baraccone”, palazzone con appartamenti a ballatoio e a sud le palazzine del “Castillo”, poco prima che cominciasse la campagna con il suo ponte sbilenco che salta la ferrovia e si fionda in campi verdi permettendoci di arrivare al nostro mare, il Basento, la Iumara appunto. Il cuore del quartiere erano via Lacava, via Grippo, via Iosa, P.za Gianturco con al centro la vecchia scuola elementare. Ma pur non conoscendone ancora l’uso ed il significato della parola era proprio negli scantinati di quelle palazzine che pulsava la vita della “Chianchetta Underground”, spazi sotterranei che noi ragazzini extraurbani, in grande promiscuità anagrafica, contendevamo a discrete presenze che esercitavano la professione più antica del mondo. Per la verità la coesistenza funzionava piuttosto bene con reciproche soddisfazioni, ma solo per quelli più grandi della succitata promiscuità. In quelli spazi coperti si intrecciavano le storie nelle lunghe serata invernali che all’epoca, se non ricordo male, andavano dal 20 agosto al  successivo 30 maggio festa del Santo protettore Gerardo, e c’era tanto da raccontare. E come tutti i quartieri che si rispettino anche Chianchetta aveva al suo centro un monumento, non era Re Vittorio Emanuele, anche se il quartiere aveva Roc ù Re allora ancora troppo giovane per assurgere a tali onori (adesso invece ci si potrebbe quasi fare),  né una statua equestre di Garibaldi ma in perfetto stile Chianchetta life la  “ Bicicletta di Taccone”, naturalmente underground in uno scantinato di via Miraglia  che era un po’ per noi chianchettani come il famoso biliardo del bar del centro di Foligno, lu centro de lu munno.  La bicicletta era esposta al centro di uno scantinato di una palazzina di quella via, montata su una piattaforma ad un metro circa da terra, illuminata in stile cinematografico da lampade varie, una era una forte lampadina immessa in un “amletico” teschio, ma questa è un’altra storia direbbe Corto Maltese, ma più che altro sembrava illuminarsi di luce propria, la luce del mito. Una splendente Atala da corsa con cui l’emergente scalatore Vito Taccone da Avezzano, allora appena ventunenne, aveva vinto la 10^ tappa del giro d’Italia, la Bari/ Potenza, il 30 maggio del 1961. La visita guidata con abbinato rito di ammirazione costava 25 lire da versare al padrone dello scantinato, Gerardo come il santo protettore, nonché padrone della “reliquia”. Resta da capire che ci facesse la bicicletta di Taccone lì e soprattutto come ci fosse arrivata. E qui partono le narrazioni “sotterranee”, i racconti nelle calde notti di P.za Gianturco, dei conciliabili alimentati negli scantinati e nei portoni, tra gli smadonnamenti degli inquilini, durante i freddi pomeriggi autunnali. Carlo che vantava conoscenze altolocate, la sorella era fidanzata con un giocatore del Potenza, che è Semb nu squadron, sosteneva che la “reliquia” fosse giunta lì perché il prode Taccone, come Carlo Martello di ritorno dalla battaglia di Poitiers, condotto a sollazzarsi dopo la vittoria di tappa da tale “picernese” esercitante a Chianchetta, innamoratasi perdutamente delle doti amatorie della “suddetta” gli avesse lasciata in pegno il suo “oggetto vincente”. Ma il racconto più accreditato lo ricevemmo da Gerardo in persona con conferma di numerosi testimoni.                                                                                               L’arrivo era in salita a Piazza XVIII Agosto poco dopo la Biblioteca Provinciale, uno strappo non particolarmente duro ma lungo, la salita cominciava praticamente a Betlemme, sotto il carcere. Taccone era partito subito aveva seminato quasi tutti ma gli ultimi avversari li aveva “strappati” a due/trecento metri dall’arrivo. Un trionfo, folla estasiata: ma chi è questo Taccone? Ma è per caso di Bancone di Sotto? Ma no è sardo! Cretini è abruzzese di Avezzano, l’ho letto sulla Gazzetta dello Sport! Il team (non so se si chiamasse così anche nel lontano “61) Atala lo cinge in un abbraccio, una coperta lo ricopre per impedire che il sudore raffreddi, è maggio ma sempre di Putenza si tratta, la folla nonostante la protezione degli addetti lo circonda, spuntano due mani a cui Taccone smontando di sella stremato affida la bici, ma non sono proprio quelle del solito meccanico. Gerardo inforca la bici, la misura è più o meno quella, e si butta a capofitto per la discesa opposta, quella che dal Bar Primavera va verso la stazione, i meccanici stentano a capire, volano spinte, qualcuno bestemmia in toscano, bestemmie che andrebbero protette dall’accademia della Crusca, volano un paio di pinze e una chiave da dodici, bersaglio mancato. Gerardo parte a folle velocità per la sua vittoria di tappa. Chianchetta Uber Alles. Orgoglio di un quartiere consumato lentamente, tra stradine, giardinetti lindi e ordinati, lunghe partite a scala quaranta stesi tra i trifogli e fughe vigliacche all’arrivo del giardiniere incaricato della manutenzione. Chianchetta è stata per una stagione un rione intorno ad un monumento nascosto, la Bicicletta di Taccone

“La Città Svelta”, Editrice Universo Sud, Potenza gennaio 2016.

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