Benvenuti dal kuaför, prego desidera?

Prima di una cena con le amiche o prima di un evento oppure solo per vedersi in ordine, una puntata dal parrucchiere è d’obbligo. Il salone di bellezza a Istanbul è di solito un posto dove parrucchieri e estetiste lavorano gomito a gomito e dove non serve l’appuntamento: entri, in mezz’ora ti cambiano i connotati, paghi ed esci. Sono veloci e questo è significativo quando hai venti minuti tra un incastro e l’altro e hai bisogno di una sistemata.

Nei güzellik salonu, i saloni di bellezza appunto, lavorano sul cliente a due o a tre alla volta e tu non ti rilassi neanche per sogno perché mentre uno ti agguanta i capelli tirandoti indietro (che a proposito una volta tira tu che tira io si è spezzato il pettine), le altre due riguadagnano terreno stringendoti in grembo la mano sulla quale stanno rispettivamente lavorando sedute sui loro sgabellini attrezzati e tu sei preso dal terrore che con la tronchesina ti facciano fuori una falange e chiudi gli occhi perché non vuoi guardare; poi arriva anche quella della pedicure con le sue forbicione, la lima e il taglia calli e la scena diventa un quadro medievale. A volte la ragazza addetta alla ramazza ti porta anche il çay, gesto crudele visto che rimane lì imbevuto sotto al tuo naso considerando che hai tutti gli arti occupati! Comunque sia, una volta che sei pronto, quasi quasi ti ribaltano da sopra la sedia: grazie, arrivederci e sotto a chi tocca.

In questi ambienti fanno anche l’epilazione, non hai neanche il tempo di urlare che hanno già finito, usano delle strisce lunghe mezzo metro, prima ti riempiono di cera e poi la tirano tutta insieme. Una volta andò via la corrente, la ragazza si mise il telefono tra i denti tipo Rambo e con la torcia accesa continuava a tirare alla cieca. Quanto a te povera vittima pagante (in tutti i sensi), apri la porta e riemergi da questi sgabuzzini che barcolli come quello che fa “i nuovi mostri” su Striscia la Notizia. Dopo infatti ti dicono geçmis olsun che di solito si dice alla gente che ha passato un guaio (mortacci loro) ma in quel contesto vale come un “ben fatto”, che è quasi una maniera di autoincensarsi visto che tu sei quello che le ha prese e giaci in uno stato confusionale e ti brucia la pelle dappertutto.

Detto questo, va chiarito che l’estetista è sempre una donna ma il kuaför istanbuliota è di solito di sesso maschile. Veste di nero, d’inverno porta il lupetto di lana, è tatuato e robusto e assomiglia a Pierre di A-Team. In vita porta un cinturone e nella fontina l’asciugacapelli. Nelle sue mani la testa delle clienti sembra minuscola ma è un grande professionista. D’estate i maestri parrucchieri lasciano fare pratica ai giovanissimi, di solito ragazzetti che hanno paura a lavarti i capelli perché temono di farti male e poi ti ustionano la testa perché puntano i phon ad alta potenza sempre sulla stessa zona fino a che dal fondo della sala non si alza un urlo da pescivendolo: è il maestro che a grandi falcate copre lo spazio che vi separa e con una panzata riprende il controllo della messa in piega. Immolarsi agli apprendisti, che a proposito ti fanno anche la doccia gratis, non vale mai la pena anche perché alla cassa non ti tolgono neanche un centesimo sul conto finale e esci con due fogli di scottex nella schiena perché t’hanno inzuppato bene bene.

Nei centri più piccoli o periferici il parrucchiere non è più un grande salone con le vetrate sulla strada bensì un appartamento al secondo piano di un palazzo, dove nessuno possa sbirciare le clienti velate che, giocoforza, si scoprono la testa per farsi fare i capelli. Qui le parrucchiere sono donne, ti lavano la testa in un lavandino come quello di casa e, nel caso in cui vai per un taglio, ti chiedono se nel lavaggio vuoi solo acqua o acqua e sapone e quando tu ti dici, “ma si, facciamolo questo investimento di igiene”, loro ti lavano con il sapone più scadente che c’è sul mercato che sembra la sottomarca della sottomarca dello Svelto piatti e di solito dopo ti viene la forfora.

I barbieri invece, che in alcuni quartieri hanno sul retro un banchetto e un block notes con il quale vendono anche appezzamenti di terra tipo zio Paperone nel Klondike, usano in parte ancora la lama arrotata vecchio stile. Ci vuole coraggio a porgergli il collo. Anche loro usano la cera per la depilazione della peluria del volto, sugli zigomi, sulla fronte, dietro il collo, dentro le orecchie e nelle narici e anche loro ci vanno giù pesanti. E visto che in Turchia la storia dell’esaltazione della bruttezza (di cui il cristianesimo va fiero) non fa gola a nessuno, la bellezza e la pulizia sono un valore inestimabile per cui il fine giustifica i mezzi. A tal proposito ricordo alcune donne (e amiche) che preparandosi per il matrimonio di un parente (al quale ero invitata anche io, era il 2010) mi offrirono dei guanti in lattice e io li accettai senza capire; poi le vidi usarli per stapparsi i peli sotto le ascelle e lungo le braccia, una raccapricciante variante (seppur risolutiva, questo devo ammetterlo) della ben nota pratica dello sparagna&cumbarisc (cioè risparmia e fai bella figura).

Questo ed altro nella favolosa Turchia 😊

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