Sperlari non si incarta mai e lo scrigno dei segreti

Didascalia n. 48

Nel giorno della Prima comunione, 1974, tre erano i doni che i maschietti avrebbero potuto avere in quel di Spinoso. La penna a sfera Aurora in astuccio, placcata in oro, l’orologio a ricarica manuale Britscar e un diario con chiave. Arrivarono puntuali. Usata con parsimonia la prima, indossato il secondo per anni, inutilizzato il terzo. Non che non avessi segreti, ma non avevo tempo per la scrittura, essendo un lettore onnivoro (ruminavo di tutto, da «Famiglia Cristiana» a «Diabolik», da «Lanciostory» a «Grand Hotel»).

Se proprio dovevo nascondere con cura qualcosa, preferivo la concretezza degli “oggetti” all’astrazione introspettiva. Nello stipo a muro in camera da letto non c’era però la chiave, per cui cercai una soluzione alternativa e più ermetica. Mi venne in soccorso il cofanetto Sperlari, un forziere in miniatura, dotato di lucchetto e chiave. Perfetto per salvare le mie cose da sguardi indiscreti.

L’azienda fondata a Cremona da Enea Sperlari, che vendeva mostarda e torroni dal 1836 e che nel 1935 era passata alla Pernigotti, aveva iniziato a produrre caramelle durante il boom degli anni Cinquanta, ma fu negli anni Settanta che inondò le case di decine di milioni di cofanetti, inventandosi il più bel packaging della storia della pubblicità.

Non un semplice contenitore di carta o di plastica, da buttare una volta utilizzato, ma un forziere di latta (avevano anche un manico a volte) rifinito come uno scrigno egizio o etrusco, da tenere in bella vista, sul caminetto, su uno scaffale in salotto, su un comò.

Le case erano ancora arredate con l’essenziale sull’Appennino lucano e gli ammennicoli erano pochi. Qualche bomboniera, un paio di posaceneri in peltro, un portafiori di Rocco Barocco, un candelabro orrendo di Capodimonte, una cornice in legno con una manciata di foto di famiglia, una Madonna ovviamente addolorata. ed ettari di centrini inamidati all’uncinetto.

Il contenitore Sperlari, paradossalmente, divenne un prodotto elegante, simbolo di una nuova arte, tanto da essere più desiderato del suo dolcissimo contenuto. Un doppio dono per soli 4.300 lire.

Una formidabile idea anche per chi come me, nutellofago, non amava le caramelle.

Per noi ragazzi le caramelle erano la cenerentola delle leccornìe. Le mangiavamo senza gusto e solo quando i negozianti e i baristi, non avendo resto, infilavano la mano in grandi boccioni di vetro e ti rifilavano le Valda al mentolo o le gommose Golia alla liquirizia.

Personalmente preferivo Tabù nel furbo cilindro di latta da tenere in tasca. Si ruotava il coperchio e dalla fessura laterale uscivano i tronchetti di liquirizia. Anche in quel caso, però, era il contenitore che esercitava un suo particolare fascino. Infatti, divorato a manciate il contenuto, lo si schiacciava coi piedi, trasformandolo in un disco dai molteplici usi: per giocare a battimuro, per lanciarlo il più lontano possibile o usarlo come moneta di scambio a Monopoli.

Non vi era casa che non possedesse un cofanetto Sperlari. L’involucro si era trasformato in oggetto da interior design,si direbbe oggi. Anche perché erano diversi per foggia e grandezza. In genere si regalavano a Natale, ma anche per la Festa della mamma o del papà. Erano buoni per qualsiasi occasione, compleanno o anniversario. Molti li utilizzavano come salvadanaio (avendo alcuni la fessura) o come scatola dei ricordi, per lettere e cartoline.

Per me, quella scatola misteriosa rinviava all’Isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson, e ogni volta che la aprivo mi sentivo come quando Jim Hawkins trovò la mappa del tesoro nel baule di Billy Bones, il vecchio marinaio. Mi mancava solo il pappagallo di Long John Silver, il mitico Capitan Flint,per essere in estasi.

La Sperlari sfruttò abilmente quell’idea, anche grazie a una sapida e scaltra campagna pubblicitaria, di cui testimonial fu Gian Enrico Tedeschi, un superbo attore di teatro che aveva esordito in un lager. Il buon Tedeschi entrava in un bar e chiedeva un cofanetto Sperlari e alla domanda dell’ingenua commessa, Glielo incarto?, rispondeva con Un cofanetto Sperlari è così bello che non si incarta mai.

Divenne il volto popolare dell’azienda di Cremona per Carosello con le serie di scenette “Qualcosa di speciale” (1974-75) e “Zio ci aiuti?” (1975-76). Alcuni cofanetti furono firmati persino da personalità come Fiorucci, Roberta di Camerino e Missoni.

Noi a casa ne avevamo più di uno.

Mia nonna ci conservava bottoni, cuscinetto con gli aghi, rocchetti, spilli, nastrini ed elastici a fettuccine bianchi per calze e mutande. La sua postazione era a ridosso della Singer per cucire. Mia madre che lo teneva in camera da letto lo utilizzava come un portagioie, per spille, catenine e fermagli.

Ed io ci conservavo i miei oggetti più preziosi.

Quali? Mi starete chiedendo.

Il mio tesoro nascosto, confesso, era un coltellino nero, comprato di nascosto alla fiera degli animali di S. Andrea il 21 novembre (a’ Mbrosta), due monete antiche che mi aveva regalato mio nonno, le figurine Panini che mi servivano per il baratto o il gioco, qualche elastico, una polsiera di cuoio modello Ursus e, soprattutto, un ritaglio di un Postal Market, che raffigurava una donnina. Era l’unica fotografia in tutto il catalogo che pubblicizzava un reggiseno che lasciava scoperto il seno della modella.

Ego te absolvo…

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