Inquilini

Agosto. Caldo torrido. Il cielo è una cupola rossa e opprimente. Cala sulle strade come un presagio. Il sole è inabissato dietro i palazzi. Luca parcheggia la sua automobile. Sul sedile accanto gli fa compagnia la sua cena. Cibo cinese: spaghetti di soia e pollo alle mandorle.
Estate deprimente, pensa.
Nel riverbero del residuo di luce solare, la desolazione del quartiere. Le finestre sono occhi ciechi. Serrande abbassate come palpebre.

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Agosto. Caldo torrido. Il cielo è una cupola rossa e opprimente. Cala sulle strade come un presagio. Il sole è inabissato dietro i palazzi. Luca parcheggia la sua automobile. Sul sedile accanto gli fa compagnia la sua cena. Cibo cinese: spaghetti di soia e pollo alle mandorle.

Estate deprimente, pensa.

Nel riverbero del residuo di luce solare, la desolazione del quartiere. Le finestre sono occhi ciechi. Serrande abbassate come palpebre. Sulla pelle una patina di sudore. Una suoneria attutita fa vibrare l’aria. La Nona Sinfonia di Beethoven riprodotta da una chitarra rauca e distorta. Posa sul cofano il sacchetto che ha in mano e si tasta alla ricerca del cellulare. Le note ovattate provengono dall’interno dell’abitacolo della sua macchina. Apre la portiera. Appena il cellulare è nelle sue mani, smette di suonare. Sul display il numero e il sorriso radioso di Mara. La richiamerà appena arrivato a casa.

Una macchina si parcheggia accanto alla sua. Una Mercedes classe A nera. La scocca è coperta di polvere e fango. L’ha già vista un paio di volte. È dell’inquilino del sesto piano. Abita nel palazzo da un paio di settimane. Luca non ricorda nemmeno il suo nome. Forse, a pensarci bene, non lo ha mai saputo. L’uomo sembra navigare in un ampia camicia bianca. Ha una folta capigliatura nera e due occhi scuri, grandi e intensi. Ha aperto il bagagliaio e sta trafficando dietro l’autovettura.

Luca decide di avviarsi. Il portone è piacevolmente fresco. L’ascensore è già lì. Schiaccia il tasto. La porta metallica si apre. Luca sta per entrare poi si ferma. Si affaccia fuori. L’ombra dell’inquilino del sesto piano si stende verso di lui. Non vuole essere sgarbato. Lo aspetta. I loro sguardi si incrociano. Un sorriso a bocca chiusa e un cenno col capo. I due entrano nella cabina. L’ascensore è malandato. I tasti del terzo e del settimo piano sono stati squagliati con l’accendino. La luce al neon lampeggia a intermittenza. Luca posa l’indice sul tasto del sesto piano.

«Scende al sesto vero?».

L’uomo annuisce. Il suo viso è tirato. Il contorno degli occhi è rosso. Sta sudando. I capelli gli ricadono sulla fronte in una frangia.

«Si muore di caldo eh?»

L’altro non risponde. La sua bocca è serrata. Annuisce di nuovo. Una goccia di sudore cade dai capelli sulla sua camicia. Luca preme il tasto e l’ascensore si avvia.

Primo piano.

Il cavo cigola mentre la cabina sale. Dal sacchetto che Luca ha in mano proviene un  profumo speziato. L’altro passeggero è in un angolo. Pallido. La pelle tesa, a tratti, sembra tumefatta. Forse è l’effetto del neon. Il silenzio li avvolge come una ragnatela. Fitta e fragile. È rotto solo, a tratti, dall’aspro gracchiare metallico del cavo.

Secondo piano.

Un gemito soffocato.

«Si sente bene?»

L’inquilino del sesto piano sembra provato. Si porta una mano all’altezza dello stomaco. Le dita sono sempre state così lunghe? Luca le osserva incuriosito. Sotto le unghie nota un’incisione violacea. Sottile, ma netta. L’altro risponde con il solito cenno del capo. Le labbra sono gonfie e tumefatte. Hanno assunto un colore violaceo.

Terzo piano.

Altro gemito. Luca si protende verso l’uomo. Per un momento quest’ultimo apre la bocca. Non completamente, ma quanto basta a far intravedere delle zanne animalesche. La richiude. Luca si ritrae. Sicuramente si tratta di uno scherzo della vista.

«Sta male?»

L’altro scuote il capo. Gli occhi sono una selva di venuzze rosse. Macchie livide gli ricoprono quasi tutto il viso. La pelle al di sotto di quelle chiazze sembra ancora più chiara.

Quarto piano.

L’uomo si accascia. La camicia è zuppa di sudore. Aderisce a quel corpo magro come una seconda pelle.

«Siamo quasi arrivati. Tenga duro.»

Luca si avvicina.

«Non si preoccupi, passerà presto.»

La voce è cavernosa. Si sdoppia rauca. Luca sente freddo. Una lingua gelida gli passa lungo la schiena. Questa volta è certo di ciò che ha visto: zanne da predatore. Contorte e aguzze.

Quinto piano.

La luce si spegne. L’ascensore si arresta. Buio.

«Dannazione! Si è bloccato.»

Una stasi innaturale si spande nella cabina dell’ascensore. È solo un atomo di pace dissolto subito da un ansimare convulso che riempie il vuoto.

«Non si preoccupi. Probabilmente è solo andata via la corrente.»

L’ansia increspa la superficie della sua voce. Nessuna risposta. Rumore di cartilagini che si sfaldano. Un lacerare di tessuti. Urla. Aspre e ruvide. Unghie che graffiano il metallo. Un guaito stridulo. Luca lo sente risuonare nei denti. Nelle ossa. Un odore selvatico riempie la cabina. Gli occhi di Luca si stanno abituando alla penombra.

Un muso. Due bulbi acquosi lo fissano. Zanne lunghe e contorte. Una lingua a penzoloni. Un ringhio sordo.

 

Da Nero. 24 Rintocchi a Mezzanotte, Gruppo Albatros Il Filo, 2011

 

 

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