Scorcio di metaverso

“Dietro la finestra il mondo è in bianco e nero. L’ho aperta un attimo per sentirlo sulla pelle. La nebbia gocciola e l’umidità si impasta con le ossa. Sono ancora nudo. Mi raccolgo nelle spalle, dopo essermi buttato l’acqua fredda in faccia, e avvolgo il viso nell’asciugamani. Non ho programmi, oggi. Non mi va neanche di vestirmi.  Mi sdraio sul divano, con la luce gialla puntata sul caos del tavolino basso che è al mio fianco. Piano piano il calore che rilascio si raccoglie sotto il plaid. Apro un libro, lo poggio sull’addome. Chiudo gli occhi e dopo un po’ mi viene in mente lei. Ne ho voglia, adesso. Mi rialzo e corro a indossare l’interfaccia. Mi guardo un attimo allo specchio: sembro Diabolik, mi piaccio, mi esalto ed “esco” in MP. Il cielo è basso e avvolge tutto, come sempre, e la temperatura è quella giusta. Monto sulla moto e in un baleno mi ritrovo sulla meta-tangenziale. A quest’ora non è molto trafficata. Attivo l’audio e pronuncio un criptoname, il suo.  Mi risponde al quinto tentativo. Mi sussurra che ha anche lei voglia di me. Sorpasso qualche auto. Al curvone faccio una staccata, scalo e piego: il push steering è perfetto e l’adrenalina sale. Dopo un altro rettifilo e qualche curva, imbocco la mia uscita. La città è quasi deserta e i semafori lampeggiano arancione sotto un’alba di novembre. Parcheggio davanti al suo portone. Suono il campanello, mi risponde con un tono che sa di bolle di sapone, salgo in fretta. Mi accoglie con le braccia attorno al collo e un bacio sulla bocca, la tengo stretta per i fianchi, la accarezzo e al tatto avverto pelle levigata e calze, mi scopre il petto e mi percorre con le mani, a passi di una danza concitata raggiungiamo il letto, ci divoriamo. Mentre emette suoni che mi scavano la pancia e si contorce su di me, ne  ho la certezza: la amo. Restiamo a lungo con le fronti unite, e quando “torno” a casa mi sento soddisfatto: ho il suo corpo e il suo profumo nella mente. C’è ancora nebbia dietro la finestra. Mi risistemo sul divano. Il libro era rimasto aperto. Lo prendo e mi ci immergo dentro”.

Quello sopra riportato potrebbe essere, in un futuro ormai alle porte, il resoconto realistico di una persona che decida di dividere il suo tempo fra la realtà convenzionale e il Metaverso. Il termine “Metaverso” risale a circa trent’anni fa, quando Neal Stephenson pubblicò “Snow Crash”, un romanzo in cui immaginava un mondo parallelo in cui esistere attraverso i propri avatar.

Lo scorso 28 ottobre, Mark Zuckerberg ha annunciato il aver cambiato il nome del suo marchio aziendale  “Facebook”  in “Meta”, un prefisso che evoca l’immersione in un iper-social-network dove non ci saranno solo “facce” bidimensionali, foto, post e messaggi, ma corpi in 3D, oggetti, ambienti e sensazioni. Su fb sono già in vendita i dispositivi di ultima generazione per la “Realtà virtuale immersiva” (o “Realtà aumentata”). Essi costituiscono ancora  la preistoria di scenari del tipo che ho evocato, ma quando il tempo scorre veloce al futuro ci si arriva in fretta. Oso congetturare che, fra uno o due decenni, per poter entrare nel Metaverso potrebbe non essere necessaria neanche un’interfaccia fisica: magari solo microchip impiantati nella corteccia motoria e somatosensoriale. O forse vi si potrà accedere per mezzo di onde di qualche particolare frequenza che entrano in risonanza con l’attività neuronale. Chissà! Certo, il bene e il male corrono sempre l’uno a fianco all’altro. Per questo, soprattutto, sarà una sfida, difficile, inevitabile.

Muterà il nostro cervello? Evolveremo? Involveremo?

Per ora ci sono solo le domande, e nemmeno quelle, forse, le conosciamo tutte.

È quasi notte. Chiudo gli occhi. Mi addormento. In fondo una “Realtà virtuale”, quella onirica, la conosciamo da sempre. Tranne casi rari (i cosiddetti “sogni lucidi”), è affatto incontrollabile e caotica. Ma sa stupire sempre. Per adesso mi accontento di quella.

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