
Potenza ore 10:00 – Claudio Elliott
Riflessione
in a negativo.
Sto passeggiando con il cane femmina a pochi metri
da casa. Mi si avvicina un signore, fa un cenno con la testa e mi
chiede, sottovoce e da sotto la mascherina: – Tu sei
asintomatico?
Sono soprappensiero, seguo passo passo la cagnetta
per controllare che faccia ciò che deve fare (tra parentesi, noi
abbiamo un ampio giardino che farebbe contento qualunque canide; non
lei, che ha bisogno dei suoi spazi, mi ha detto in confidenza l’altro
giorno. Quelli esterni.)
Chiedo: – Sono cosa?
– Asintomatico.
–
Un poco asimmetrico, sì – dico, quando la cagnetta mi tira e mi fa
torcere il busto. Il signore mi guarda male e si allontana
simmetricamente.
Quando frequentavo il liceo classico, tra la
disperazione dei professori e della mia famiglia, e seguivo il prof
di greco, che si chiamava davvero Greco – nomen omen -ero
affascinato dalla bellezza delle lettere dell’alfabeto, così
diverse dalle nostre. Fu quando il prof si soffermò sull’alfa
privativo che la mia attenzione, in genere sopita dal mio interesse
per le compagne di classe, all’improvviso si destò: e mi si
aprirono orizzonti. Lui, il Greco, enunciava le parole magiche:
asociale, analfabeta, asessuale,
apolitico, analcolico, apatico,
atipico, anormale, amorale, atonale.
– Affascinante – dissi a
voce alta.
– Grazie – commentò il prof, chiedendosi chi fossi
(ero uno di quelli che si nascondevano all’ultimo banco dietro le
trecce di una compagna asociale).
– No – dissi.
– No? – Ora
lo stupore era misto alla curiosità: si levò gli occhiali e mi
fissò.
Precisai: – Voglio dire: un contadino può essere
affascinante?
I compagni erano stupìti: in genere non intervenivo
durante le lezioni di greco e, se per questo, neanche durante altre
lezioni. La brunetta bruttina e totalmente asenica (eh eh!) mi
sorrideva.
Il prof ridacchiò: – Magari può esserlo per una
contadina.
– Ma sarebbe disoccupato – dissi.
Un silenzio
silenzioso invase l’aula. Eravamo sul finire degli anni sessanta e
non si usava colloquiare con i docenti.
– In che senso? – chiese
lui.
– Affascinante: alfa privativo più fascine. Il contadino non
porta le fascine e così perde il lavoro.
– E lei così perde
l’anno – mi disse e mi indicò la porta.
E ora, nel periodo
buio del virus, torno a casa con la cagna chiedendomi se sono
asintomatico.
Potenza, ore 10:00, Annamaria
Vedrete arriverà il momento in cui Conte, a reti unificate, aprirà il discorso serale col sorriso stampato in faccia e annuncerà che tutto è finito.
Allora scenderemo in piazza come quando abbiamo vinto i Mondiali, stapperemo lo spumante e ci abbracceremo più forte di prima, fino a toglierci il respiro, ci stringeremo e ci baceremo come a voler dire che abbiamo compreso il vero valore di quei gesti, così estremamente preziosi e impagabili.
Sarà festa nazionale, e svuoteremo di nuovo i supermercati, ma per fare una bella grigliata con tutti gli amici di sempre, urlando, ballando e tenendoci per mano perché chi si tiene per mano si dà un pizzico di forza in più, quella forza che abbiamo dovuto trovare in noi stessi per tutto il tempo.
Intanto però, adesso, resistiamo!
Potenza, ore 18:54 – Giampiero D’Ecclesiis
Giro solo per casa, mia madre è al sicuro in campagna da mio fratello, mi siedo sulla poltrona e guardo le mie mani. Ci sono mani che non dimentichi, mani calme e ferme, asciutte.
Mi ricordo quelle di mio Padre, erano asciutte e calde, mi stringevano piano, con delicatezza, ogni tanto provavo a sbirciarlo dal basso mentre sgambettavo veloce per tenere il suo passo.
Sembrava altissimo, si è rimpicciolito nel tempo, man mano che io sono diventato grande, prima lentissimamente poi velocemente fino a diventare quell’omettino in giacca scura addormentato che eri l’ultima volta che l’ho visto.
Siamo fermi Papà, chiusi in casa per proteggerci e per proteggere le persone che amiamo, e mai come adesso è ancora più difficile, sono accadute tante cose, non tutte ti sarebbero piaciute.
Ho visto per la prima volta la signora in nero, l’ho vista di sfuggita, l’ho vista da lontano, mi ha fatto ciao ciao con la mano ed è bastato per rompere il ritmo del mio cuore.
I miei ragazzi stanno a meno di un chilometro, eppure è come se abitassero all’equatore, o al polo nord. Mi manca il loro odore, mi manca lo sguardo morbido di Marcello e quello irridente di Adriano, mi mancano gli abbracci di Giulia.
Resisto, mi tengo lontano, con grande sacrificio, sono l’unico mio vero, vitale tallone d’Achille, non potrei sopportare il pensiero di essere ragione di un pericolo.
Ecco Papà, un padre è questo, me lo hai insegnato tu.
Devi caricarti il tuo mondo e quello dei tuoi figli e far finta che non pesino, è un molo a cui ormeggiare la nave, il faro che da lontano segnala la luce per casa.
Mi manchi Papà, provo a guardare verso casa ma la luce del tuo faro è spenta, rimane solo il tuo ricordo che è come l’incandescenza residua di una lampadina, si spegne pian piano fino ad essere impercettibile.
Vietri di Potenza, 25 marzo 2020 – Ore 12:00 – Francesco Panariello
Dantedì
Taciti, soli, sanza compagnia
n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo,
come frati minor vanno per via.
(If, XXIII, vv. 1-3)
Faenza, ore 9:00 – Domenico Marchione
Mi soffermo su un titolo, è il quotidiano online Nurse24.it: << Monza: infermiera si suicida, era in quarantena e temeva di aver infettato altre persone >>. La notizia mi sconvolge, apro il link provo a leggere i primi righi ma subito mi blocco. Spengo il telefono. Solo una settimana fa è successo ancora, a Venezia. Stamattina il vento soffia forte. Sulla collina, in direzione Passo della Colla di Casaglia, appennino tosco-romagnolo diversi centimetri di neve. I contadini contano i danni, gli alberi da frutta, fioriti, hanno perso più della metà della loro produzione in solo quarantott’ore. Apro il sito della protezione civile, guardo la mappa dei contagi. Lo stivale Italia in basso, il malleolo, la mia Basilicata con 92 casi. Solo dopo mi ricordo di guardare l’Emilia-Romagna: 9254 casi. Da 35 giorni mia figlia è dai nonni, a Matera, al sicuro spero! Le videochiamate aiutano a ridurre la mancanza, ma non basta. Oggi una sola notizia mi rallegra, il parto trigemellare per due famiglie lucane, una è della mia Genzano.
Asti, ore 14,15 – Carmela Bruscella
Tutti abbiamo la capacità di adattamento alle situazioni. E’ il risultato della nostra evoluzione darwiniana, si tratta di sopravvivenza. E’ ciò che sta accadendo in questi giorni in cui la pandemia continua ad espandersi nel mondo come una macchia d’olio. I nostri cugini in Australia incominciano ora ad avere delle restrizioni a causa del Covid-19.
L’adeguamento si realizza quando il nostro organismo riprende i ritmi quotidiani. I miei sono ben diversi di quelli di un mese fa. Ora lavoro da casa e a causa di scadenze contabili mi ritrovo incollata (volontariamente, ben inteso) alla mia postazione del pc nella camera dove solitamente stiravo e non avrei mai immaginato di poter lavorare in telelavoro. Certamente la tecnologia aiuta e dopo, ormai si parla spesso del dopo, ci sarà sicuramente un’evoluzione in questo settore. Ad esempio la scuola sta andando avanti grazie alle videochiamate in cui interagiscono professori e studenti con lezioni e interrogazioni, mentre gli studenti universitari discutono le tesi di laurea. Oppure si pensi alle ricette mediche che ora sono rilasciate telematicamente attraverso un codice di accesso (in altri Paesi era già una consuetudine).
Quando penso alle attuali costrizioni mi viene in mente Giovanni Drogo, il protagonista del libro “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, un vero capolavoro. Il sottotenente Drogo viene nominato ufficiale e assegnato alla Fortezza Bastiani, completamente isolata. Vi trascorrerà la maggior parte della sua vita, caratterizzata dall’attesa di un nemico inesistente e dalle rigide regole da rispettare. Ma un giorno viene trasferito in città ma non riesce ad adattarsi ai nuovi ritmi. Paradossalmente ha nostalgia della Fortezza e riesce ad ottenere il trasferimento.
Vorremmo anche noi “dopo” tornare alla “Fortezza”?
Potenza, ore 19 – Antonio Califano
Oggi non mi va di viaggiare, mi fermo qui, voglio riflettere. La neve accentua la sensazione di isolamento, il silenzio è ancora più silenzio, scende giù sottile con la neve. Sono particolarmente irritato, forse perché parte interessata, dalle stronzate eugenetiche che girano per televisione e in rete. Qualcuno arriva a parlare di un necessario “ritorno” alla normalità, una volta superata la pandemia, per fasce d’età con gli ultrasessantacinquenni a cui verrà preclusa l’uscita da casa molto dopo la fine dell’emergenza, forse mai. Ieri un bell’articolo di Laura Marchetti, sul “Manifesto”, ci ricordava che “La civiltà è Enea che porta Anchise sulle spalle”, mi ero commosso e andava esattamente in direzione contraria alla vulgata. “Scienziati” ed esperti continuano ad alternarsi sul video, sparano banalità a raffica, l’unica cosa su cui concordano è che bisogna lavarsi le mani. Si capisce che ci stanno capendo ben poco, qualcuno mi ha insegnato che la scienza nasce dal dubbio e dalla mancanza di certezze, io vedo solo, tranne rare eccezioni, supponenti raccontatori di storie, quelli bravi ( e sono tanti) stanno negli ospedali a cercare giorno per giorno di aiutare chi sta male e sperimentare soluzioni. Ne ero convinto da prima, ora questa convinzione è diventata certezza: la scienza, ma qualunque attività umana, non serve senza l’etica. Kant scrive la “Critica della Ragion Pura” come una sorta di introduzione alla sua “Critica della Ragion Pratica”, dove si occupa della morale. La formulazione del suo imperativo nella esposizione che mi più convince recita: “agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre come fine mai come mezzo”. Ma come si fa? Abbiamo costruito un sistema mondiale che è basato sul suo esatto contrario. Mi chiedo che succede al confine Siria/Turchia? E in Yemen? Nei campi profughi del Sudan e nelle carceri libiche? E nelle fabbriche ancora aperte di tutta Europa dove ancora si va a lavorare senza protezione? Mi intenerisce la brigata di medici e infermieri cubani a Crema- “siamo qui per aiutare il popolo, ci staremo fino a quando ce ne sarà bisogno, non abbiamo chiesto soldi al governo italiano”. Ricordatevi capre, primato dell’Etica!
Parma ore 11.11 Cristina Cogoi
In questo tempo fatto di non tempo,
di attese indefinite
di silenzi rumorosi
di paure soffocate
di lutti solitari
di occhi senza più lacrime
di distanze obbligate
di abbracci sognati
di baci vietati
di solitudini condivise
di orizzonti nella nebbia
in questo tempo fatto di impotenza
mi ritrovo sola, stordita, attonita, disorientata, sospesa
ma follemente innamorata della vita.
Genzano di Lucania, ore 18:30 – Gianrocco Guerriero
La neve è venuta giù anche oggi, per quasi tutto il giorno. Esitava poggiata sopra l’aria, senza una corazza, e la terra di marzo l’ha respinta. Così il cielo si è incupito in una nebbia.
Faccio più caso a quello che c’è fuori, adesso che sto sempre dentro, cogliendo meglio le sincronici (un sorriso di Alexandra correlato a un salto della gatta e a un fiocco bianco che bussa alla finestra, per esempio).
Dell’altro tempo, invece, quello che mette in fila le cose che facciamo, non so dire molto. È come se io non ci fossi e di tanto intanto ritornassi, per una caduta di momenti. Ecco, è questo ciò che so del Tempo adesso: vedo isole: è un tempo che assomiglia a una serie di cascate, più che a un fiume: è un paesaggio d’alpi visto da lontano: soltanto vette.
Una novità però c’è stata, oggi. Non sapevo niente di quello che avrei scritto qui, e scrivendo l’ho scoperto.
Potenza, ore 2:45 – Nicola Cavallo
Apri gli occhi. Ti rendi conto che è notte fonda. Non è diverso dal giorno. Sei sempre chiuso all’interno di queste quattro pareti, costretto ad un isolamento assoluto. Quel filo, che scorre svogliatamente sulla superficie logora del tavolo, ha sostituito gli occhi, la bocca, la tua capacità di ascoltare i suoni, i bisbigli…, la tua abilità di sfiorare.

Quando tutto sarà finito, forse … forse non sarò più in grado di parlare alle persone, di scuotere le loro menti, di intrufolarmi nei loro sentimenti, di percepire le loro incertezze, di attraversare le loro membra…
Nulla potrebbe essere come prima…
Matera, ore 19:10 – Doreen Hagemeister
“Bufale e teorie del complotto”
Adoro le teorie del complotto, ma soprattutto mi diverte analizzare e smontare queste cospirazioni che attribuiscono la causa di un evento, in genere politici, sociali o talvolta anche naturali, a un complotto. Si tratta di ipotesi alternative rispetto alle versioni fornite dalle fonti ufficiali, ma soprattutto NON SONO PROVATE.
Una pandemia come il Coronavirus non poteva non provocare un’inondazione di nuove teorie del complotto. Per non dimenticare le numerose bufale che hanno fatto il giro sul web. L’OMS ha creato persino una pagina dedicata a smentire le più diffuse, dando le corrette informazioni: Il virus non viene trasmesso dalle zanzare e neanche dagli animali domestici; non muore con il freddo e neanche non il caldo; purtroppo infetta persone di tutte le età; la vitamina C non previene il contagio, né basta come cura; e trasmettere il virus attraverso le scarpe è inverosimile.
Bene! Diffidiamo da fonti non attendibili! Le precauzioni sono quelle che conosciamo tutti, restiamo a casa evitando possibili contagi e laviamoci frequentemente le mani!

Le teorie del complotto, invece, scavano a livello politico. Si parla del piano di sterminio di Bill Gates, accusato ad aver provocato l’epidemia per guadagnare dalla vendita dei vaccini. Un’altra ipotesi riferisce della punizione che gli Stati Uniti avrebbero inflitto a Italia e Cina per l’accordo sulla nuova via della seta. Un’altra bufala parla del mondo che si fermerà per 21 giorni: Il 15 marzo, se l’epidemia non è stata contenuta, verrà dichiarato il biocontenimento BSL-4. – come oramai sappiamo, non si è fermato il mondo!
L’ultima che ho sentito riguarda un audio in cui si spiega che è colpa del 5 G e della modifica del campo elettromagnetico terrestre, teoria secondo la quale tutte le innovazioni tecnologiche abbiano creato pandemie.
Che dire. Torno allo smart working, utilizzando la rete, il WI-FI e i sistemi software. Mi bevo una tisana (non ucciderà il virus, ma mi piace), naturalmente dopo aver sistemato le scarpe fuori casa… e mi coccolo Chandra, la mia gattina! Più tardi, con un bel bicchiere di Aglianico, vedo come disinfettare la mia gola. Cin cin!
Firenze, ore 16:30, Rossella Spiga
E niente, sono inesorabilmente arrabbiata. Ho nuotato a pelo d’acqua molti giorni, senza cantare vittoria. Ho contenuto, arginato, abbassato i toni. Sono stata civile, quasi comprensiva. Poi è bastata una frase per ricordarmi che non era era una crepa quella che sentivo, era un taglio profondo fatto con il bisturi senza anestesia, in tempi non sospetti. Accadimenti che ora non si possono nemmeno discutere, capire, animi che non si possono rianimare. Tele orrorifiche tessute con minuzia nel corso degli anni, paradossi degli intrecci umani ai tempi della pandemia, vicoli ciechi anche in tempi normali. Silenzi spietati in amori senza età.
Potenza, ore 23:00 – Ida Leone
E niente, alla fine tutti i pensieri finiscono col ruotare intorno al concetto di tempo. Quando un mese fa sono uscita da un posto e non sapevo che non ci sarei più tornata.
Mai più.
Per sempre.
Le ore, i giorni, i mesi che devono scorrere prima che un dente della morsa che ci stringe inizi ad allentarsi. Il tempo che ci metteranno i medicinali a fare effetto. Forse domani andrá meglio.
Cominciare a coniugare verbi e pensieri al futuro perché il passato é improvvisamente troppo doloroso, troppa gravida di nostalgia la normalità, con tutta quell’aria, quella libertá che avevamo di uscire, andare in giro senza meta, incontrare un amico e abbracciarlo. Sedersi ad un tavolo e ordinare una pizza o uno spritz. Viaggiare per lavoro.
Ispirata da una cosa scritta da un mio giovane amico, faccio il conto di quanti giorni ho vissuto e scopro che il 13 gennaio 2021 avrò vissuto esattamente 20.000 giorni. Ci mancano poco più di nove mesi. Decido di rimanere incinta di me stessa e partorirmi, fra nove mesi, ad una vita nuova. Ventimila. Più uno.
Potenza, ore 20:15 – Luca Rando
Le parole che ci scambiamo con gli alunni sono indicative di un sentimento comune di frustrazione e anche di una certa stanchezza di questi giorni tutti uguali passati in casa: marcire sul letto; sentire le carni che si decompongono… Anche per questo ho proposto ad alcuni di loro un esperimento sociale. A gruppi d 4/5 vedersi in serata per condividere immagini (foto, quadri), musica (suonando uno strumento o mettendo su una musica), parole (da libri o proprie). Un racconto per frammenti della propria vita, dei propri interessi, dei sogni e delle paure. Per un’ora a settimana rompere il muro del silenzio e della solitudine. Ho pensato anche al nome: Vicinitudini, che ha insieme l’idea dell’essere vicino ma anche delle solitudini e, perché no, delle vicessitudini della nostra vita che proviamo a raccontare.
Villa d’Agri, ore 23:30 – Antonella Marinelli
Sedicesimo giorno rosso. Questa quarantena che giorno dopo giorno si dilata e amplifica la nostra ipocondria, la nostra emotività, quarantena in cui si sente il ticchettio delle ore ormai, ci sta riversando addosso lo tsunami del nostro vissuto. I miei ricordi non hanno una catalogazione da archivio storico, però sono pensieri che mi danno tepore.
In questi giorni ho pensato tanto ai miei nonni. Mia nonna Antonietta solo in seguito l’ho ritrovata nella nonna dell ’Incendio nell’oliveto di Grazia Deledda, una donna agguerrita, disposta a lottare con forza ferina per difendere i nipoti e il buon nome della famiglia. E così mia nonna di umili origini è stata una guerriera aggrappata alla vita come pochi. Amara come il sorbo del suo giardino, ingegnosa come chi nella miseria degli anno’30 si era dovuto inventare delle abilità pratiche per sopravvivere. Per mio padre e i miei zii imbastiva abiti e camicie, belli ed eleganti come quelli delle tre figlie del signorotto presso cui prestava servizio. Mi raccontano di come facesse invidia ai ciabattini della contrada nel maneggiare pinze, fustelle e tronchesi per realizzare scarpe che avevano una loro dignitosa tenuta. Adesso mentre ne scrivo ho nelle narici il profumo della lavanda del suo bucato, la lavanda i cui petali si impastavano nei saponi che essiccava nei suoi tanti laboratori (magazzini, lavanderia, forno, cantina). Chi la ricorda priva di tenerezza è perché non ha mai visto i suoi occhi cenere riempirsi di lacrime quando orgogliosa guardava i suoi figli sentendo sulle ormai gracili spalle i sacrifici che le avevano increspato il volto pur di vederli così. Ho amato tanto i miei nonni, se solo avessi trovato le parole per sussurrare loro quanto.
Potenza, ore 2:10 – Katia Genovese
Come il più valido alleato e fingendoti fedele amico ti sei rifugiato nei polmoni dei tuoi ospiti ignari, ti sei fatto strada fino ad aver il controllo completo sulla persona prima accuratamente studiata e poi scelta come avversario.
Subdolo fin dalla prima mossa.
Ti sei fatto complice delle loro giornate, hai condiviso con loro momenti speciali, hai concesso di pianificare programmi a lungo termine pur sapendo che nulla, o quasi, si sarebbe potuto realizzare. Irrompendo come un ospite indesiderato in una quotidianità perfettamente organizzata ed incurante ne hai deturpato completamente gli equilibri.
Strisciante ti sei intromesso negli impegni, accovacciandoti in uno spazio blindato, dove nessuno potesse vederti.
Sei stato il riparo di te stesso, capanna “sicura” per circa quindici giorni.
Inizialmente silente hai assunto le sembianze di una comune influenza, sei giunto da lontano.
Poi all’improvviso un’esplosione, non hai lasciato troppo tempo per riflettere, non hai lasciato nemmeno troppo tempo per amare. Ci hai derisi, perché ti abbiamo sottovalutato, abbiamo sottostimato la tua potenza, non ti abbiamo ritenuto inizialmente un degno avversario, per cui provare paura.
Sbagliavamo…
La tua furia non si è posata neanche oggi, così come il candido manto di neve, che soffice ha imbiancato i tetti della nostra città.
Il tuo impeto ha avuto la forza di un fiore a primavera, che inizialmente germoglia timido e poi si mostra nella sua totale bellezza.
Ci hai divisi, per sentirti più forte, per esercitare al meglio la tua missione, imponente hai tenuto il controllo sulle azioni, sui sentimenti, ci hai incanalati nella tua direzione.
Hai mosso i fili della nostra esistenza, come sfortunati burattini nelle mani di Mangiafuoco.
Hai rubato il sorriso ad un mondo intero e soffocato il respiro, accelerando il battito cardiaco ogni qual volta si parlasse di te.
Noi siamo fermi adesso, non abbiamo più forze, stiamo chiedendo aiuti esterni che non ci vengono negati, sentiamo esultante in cuore la speranza dell’intera umanità.
Però sta per giungere il finale di questa partita, sentiamo il suo eco in lontananza. È arrivato il momento.
Diventiamo alleati, ti prego…viviAMO, non essere egoista, non è insediandosi in un corpo che non t’appartiene che potrai sentirti umano. Prova a rinascere senza appoggiarti a nessuno, sii autonomo, sii libero e lascia che noi possiamo ricostruirci.
Genzano di Lucania, ore 23, Rocco Di Bono
Beato il popolo che non ha bisogno di eroi, scriveva Bertold Brecht. E invece a noi italiani gli eroi, gli uomini della provvidenza, ci piacciono, eccome! Ci piacciono così tanto che ciclicamente ne invochiamo (e ne inventiamo) qualcuno. Giusto per restare all’ultimo quarto di secolo: Antonio Di Pietro e il pool di Mani Pulite; Silvio Berlusconi e la rivoluzione liberale; Matteo Renzi il grande rottamatore; Beppe Grillo e le piazze del Vaffa Day; buon ultimo, il ruspante (ehm…) Matteo Salvini e il suo “prima gli italiani”. Ci è voluto, purtroppo, un virus subdolo e terribile per far capire agli italiani che i veri eroi non sono tribuni e demagoghi, ma quelli che si rimboccano le maniche e fanno con infaticabile generosità il loro dovere. Come stanno facendo, in questi giorni, i medici e il personale sanitario che, in silenzio e senza proclami, combattono una battaglia quotidiana contro il coronavirus, per salvare la nostra vita anche a costo della loro. Quando questa battaglia sarà finita, ricordiamocene; pensiamoci, quando domani andremo in un pronto soccorso, in un ambulatorio, in una corsia di ospedale o in un laboratorio. Ecco, se proprio avete bisogno di un supereroe, provate a immaginarli non in costume da Batman o da Uomo Ragno, ma semplicemente in camice bianco.
Parte il primo esperimento di video racconto di TOTEM Magazine, Giampiero D’Ecclesiis & Fabio Pappacena vi propongono “LA MANO DEL DIAVOLO” della serie “Le storie del Maresciallo Nunziogallo”, per voi le prime tre puntate, da ascoltare e vedere con calma, un intreccio misterioso si svolge tra le strade del centro storico di Potenza, tra Via Pretoria e la Chiesa di San Michele si muovono ombre inquietanti, si sentono rumori, voci. Presenze oscure? Intrighi di provincia?
Ci penserà il Maresciallo Nunziogallo a svelare gli intrighi.
Chi sono i personaggi che si agitano nella storia? Demoni? Fantasmi? Sogni? Che succede nelle case di campagna dei potenti? Notai, avvocati, politici.
Un giro di ragazze squillo?
Da stasera per voi, su TOTEM Magazine. SEGUITECI , IL MARESCIALLO VI SVELERA’ OGNI SEGRETO