Fuori Fase – 20 maggio 2020

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Che cosa significa pensare?
di Antonio Califano

Ci rifletto da tanto anche prima della pandemia, è una delle cose che mi assillano di più, la riflessione sul “Che cosa significa Pensare”. Sarà che appartengo alla categoria dei pensatori “patici” soffro enormemente la mancanza della relazione umana dal punto di vista della costruzione del pensiero (non è una mia invenzione ricordo per tutti, ma l’elenco sarebbe lungo, Edith Stein e più recentemente Laura Boella, guarda caso “donne”). L’emergenza ci ha costretti ad un utilizzo totalizzante della “comunicazione remota”, io pur non appartenendo alla generazione digitale me la cavo bene, quindi non è un problema di abilità, anzi, ma di come si modifica il nostro pensiero, come reagiamo alla elaborazione, come si sviluppa l’intolleranza alle idee altrui, come mutiamo la maniera di costruire le connessioni logiche. L’utilizzo delle tecnologie nel campo della comunicazione in sostituzione della relazione cambia la nostra maniera di costruire il pensiero, di concepire la nostra esistenza in quanto essa stessa è comunicazione. Mi spaventa questa “anaffettività” comunicativa che si esprime nei suoi opposti: una aggressività inaudita o un conformismo affettivo fatto di smielate dichiarazioni d’amore, questo rigidismo cognitivo che porta i simili “appoggiarsi” ai propri simili, questo cercare conferma alle proprie convinzioni più che il ricercare con gli altri di costruire le proprie convinzioni nella dinamicità di una dialettica che si nutre di tesi ed antitesi e tenta di approdare faticosamente alla sintesi. Prevedo un aumento del diabete informatico ed una tracimazione del dogmatismo. La scuola è il luogo in cui tutto questo si riverbera in maniera più drammatica trasformando la discussione sulla formazione in una discussione di mera “tecnalità”, di logistica, di spazi, di tempo. Ci ricorda Enrico Terrinoni, sul “Manifesto” di oggi,: “La scuola, al di là dei contenuti dovuti e della preparazione culturale che deve fornire, dovrebbe tornare a riflettere sulla parola «affetto», poiché anch’essa fa riferimento a un qualche tipo di scambio. L’affetto è alla base dell’apprendimento sin dai tempi di Socrate. La mancanza di attenzione per la componente emotiva in tanta parte del percorso scolastico, ci parla di un fallimento di tutti, dei singoli e dello Stato, di un sistema volto non a gratificare ma a giudicare. La scuola deve insegnare che la mente non ha confini. Bisogna insegnare agli studenti a immaginarsi infiniti, e per farlo dobbiamo «insognare» prima ancora di provare ad impartire loro dei contenuti. La scuola, l’università, devono essere il regno di una calda umanità, contro la freddezza di una tecnica che si sta rivelando discriminatrice per selezione «innaturale»”. In questi giorni ho seguito il Salone del libro di Torino, molte iniziative di eccellente qualità, autori e riflessioni densissime ma ne ricavavo sempre un senso di spaesamento, di mancanza, di assenza e soprattutto mi sconcertavano troppi commenti del tipo: “Come è bello seguire tutte le iniziative da casa senza doversi muovere!”. Ecco nasce l’abitudine, il grande video game del consenso, ho veramente paura, il Grande Fratello si avvicina a passi felpati, l’emergenza si trasforma in norma, la democrazia e il dialogo in una fastidiosa perdita di tempo, la disabitudine ad esercitare pensiero critico in volontario servaggio.

Renzi ha il cuore d’oro, ma il bluff non è cosa sua
di Antonella Marinelli

Un Renzi, bravo Presidente del Consiglio, sui diritti civili ha fatto recuperare all’Italia 30 anni di battaglie perse. E allora perché offendere quella grandeur politica con un discorso debole e retorico per ottenere in cambio cosa? La Boschi ministro? Qualche sottosegretariato per Giachetti o Faraone? Una presidenza di commissione per Marattin? Davvero è solo questo? Renzi, Presidente del Consiglio nel 2015, impose il recupero nel canale di Sicilia dei quasi 700 Eritrei morti nel naufragio più drammatico della storia recente, perché disse che a quei fratelli era giusto dare se non un nome almeno una degna sepoltura. Il Renzi del divorzio breve, della legge “dopo di noi”, di quella dei minori non accompagnati, delle unioni civili. Cosa c’entra la parabola triste dei giochi di potere al ribasso con un architetto della retorica politica smart? Il Matteo fiorentino non ha la stoffa caustica e truce di Salvini, né le tinte fosche dello sfascismo della Meloni e allora non si tenta il bluff se a Texas Holdem non sai giocare. Archiviata la scelta di andare per la sua strada con un nuovo partito, purtroppo i panni del fustigatore dolce gli stanno stretti e così sbaglia completamente i tempi. Chi ricorda il popolo delle sardine? Quelle migliaia di persone scese in piazza in cerca di una nuova casa politica? Mettiamo da parte i Santori e chi le rappresenta, le sardine erano quegli uomini e quelle donne per strada che hanno riempito le piazze italiane in cerca di un nuovo centrosinistra. Ebbene, Renzi non è stato in grado di intercettarle e così il PD, zitto zitto, cementificando le sue oscillazioni intorno a un solido 20%, sta riprendendo un po’ di “rifugiati”, di senzatetto politici e sta riconquistando la fiducia di chi in questo disastro pandemico apprezza la misura e l’equilibrio di chi non crea fibrillazioni, ma propone soluzioni. Nella politica c’è un tempo per tutto e Renzi lo sta bruciando per autocombustione da protagonismo.

Si stava meglio quando si stava peggio
di Nuario Fortunato

L’articolo 49 della Costituzione italiana, nostra Norma suprema da cui tutto discende, recita testualmente: ‘Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale’. Ma esistono ancora i partiti liberamente associati? Si è riusciti a non tradire lo spirito dell’articolo 49 e a fare in modo che la condotta politica contemporanea italiana non rappresentasse un blasfemo vulnus per la nostra Carta? Sento ancora parlare di quanto Tangentopoli abbia creato uno spartiacque e una dequalificazione dei partiti tradizionali in favore di una nuova stagione che, al netto di copioni da bagaglino, sembra trovare la massima ispirazione, se non aspirazione, nei modelli partecipativi americani e nella web democracy. Davvero crediamo che possa bastare un Congresso di partito o una manciata di voti prodotta da solitari internauti per incoronare un leader? La verità triste e mesta è che i partiti hanno smesso di essere degli spazi sociali, degli incubatori di idee, dei ‘luoghi’ di partecipazione e condivisione. Non ci si lasci ingannare da chi, un po’ supponentemente e un po’ arditamente, risolve tutta la questione individuando nello strabismo tipico dei partiti italici la causa di tutti i mali. Il problema, anzi, credo sia proprio il contrario. Il limite fisiologico, cronico e patologico dei partiti non sono le tante correnti ma le troppe poche correnti. Il cittadino, l’individuo hanno smesso di credere ai partiti nel momento in cui non vi hanno riconosciuto più l’autorevolezza contrattuale, moderatrice e mediatrice che per decenni aveva impreziosito una politica fatta di impegno e di servizio. Ecco, allora, spiegata la delegittimazione dell’architettura partitica e politica italiana, giudicata vetusta, superata, elitaria, lobbistica e di nicchia, sacrificata sull’altare di un movimentismo che trasforma i partiti ora in percettori di specifiche istanze e poi in manipolatori di massa. Non si fa poi così fatica a fidelizzare l’italiano medio. Basti considerare che abitiamo una società in cui il presenzialismo mediatico conta più della qualità della visione, della proposta e dell’azione. In questo scenario ogni cittadino medio, che rappresenta un elettore medio, si sente parte attiva di una forma di azionariato popolare (che potremmo definire anche elettorato popolare) in ragione della quale si autoriconosce una sorta di quota sociale rappresentativa. Il problema è che un giorno, non molto lontano, quel cittadino medio capirà che al Consiglio di amministrazione di questa Società politica non siederà mai e non ci sarà mai spazio per lui in quanto questo sistema, così apparentemente liberale e libertario, nasconde in sé la vocazione nauseabonda tipica di una camarilla. Quindi? Si stava molto meglio quando si stava peggio!

L’anima è sempre nel linguaggio- la forza della retorica
di Gianrocco Guerriero

Non ho ascoltato nulla di ciò che è accaduto oggi in Parlamento. Leggerò più tardi. Non volevo che questa mia riflessione fosse inquinata dall’esito del voto e tantomeno dalle giustificazioni addotte dagli “attori” principali alle loro rispettive scelte. Poiché qui non discetto di politica, ma del modo di fare politica, quindi, tout court, mi occupo del linguaggio.

Inizio con Salvini. Lui non fa discorsi. (Platone, tramite Socrate, ci insegna che il discorso è una cosa seria, che richiede studio e capacità). Lui si limita a giustapporre parole, e le sa scegliere bene: sempre evocative, capaci di scatenare sentimenti di rabbia, rancore, violenza, odio. La sua arma vincente è la semplificazione: il nodo non si scioglie, si taglia. Non mantiene e non potrebbe mantenere le promesse che fa, ma questo, almeno sul breve periodo, non è un problema: la gente dimentica e il suo bacino di pesca, quando non è connivente, ha una capacità intellettiva media decisamente bassa. Lui rappresenta molto bene il suo elettore . La sua retorica è prelinguistica, da bar.

Poi c’è Meloni. Neanche lei è capace di un discorso autentico. Sopperisce alzando il tono della voce, in maniera tale che le sue urla possano essere identificate con quelle del cittadino qualunque che “non ha voce” e si è convinto di essere vittima di un sistema che gli sta spodestando identità, terra, diritti e onore. Nelle argomentazioni (sempre terra terra) della leader di Fratelli d’Italia non può mancare un nemico (anche quando non lo si nomina esplicitamente) che è ostacolo e causa di ogni male. Il suo eloquio è caratterizzato da una retorica grezza e bellicosa.

Arrivo a Conte. Lui non è (ancora) un politico, e si vede. Il suo affidamento quasi totale (in questo frangente delicato) ai comitati scientifici e agli esperti lo dimostra. Se ha commesso errori, di certo lo ha fatto in buona fede (il gioco di parole che richiama il nome del Ministro al centro del dibattito di questi giorni è casuale). Conte è evidentemente un uomo di “centro”. Alle accuse di autoritarismo sferrate nei suoi confronti dopo la raffica di decreti si può rispondere solo sorridendo. Che poi a “spararle” siano stati dei fascisti veri (che detestano la festa della Liberazione) è da barzelletta. Penso che la mediocrità politica di questo Presidente del Consiglio sia da considerarsi come il male minore, oggi. La sua retorica, a tratti da “Libro Cuore”, è quantomeno sincera.

Infine, Renzi. E qui il problema è grosso, perché la sua retorica è di altissimo livello. Di primo acchito, per la maniera spericolata con cui la utilizza, direi che è istintiva. Deve averla appresa inconsapevolmente frequentando le segreterie di partito. Del resto, come i primi due personaggi menzionati sopra, è l’unica cosa che ha fatto nella sua vita. Renzi è capace di contraddirsi in continuazione e, allo stesso tempo, di essere convincente ogni volta che apre bocca. Le sue catene di antitesi, le sue anafore, il climax in cui è capace di far precipitare l’ascoltatore lo ipnotizzano. Che sia questi un suo seguace o un rivale ha poca importanza. Renzi è l’esempio vivente di cosa può fare la retorica senza contenuti. Non so cosa ha detto oggi è non mi interessa saperlo. Ma ricordo, ad esempio, che tre anni fa sentenziò che “nel 2017 non si può permettere a un partito sotto il 5% di fare da ago della bilancia. Italia Viva, oggi non arriva al 3%, ma il suo ego è irto proprio come un ago.

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LE STORIE DEL MARESCIALLO NUNZIOGALLO
LA MANO DEL DIAVOLO

Continua il video racconto di TOTEM Magazine, Giampiero D’Ecclesiis & Fabio Pappacena vi propongono “LA MANO DEL DIAVOLO” della serie “Le storie del Maresciallo Nunziogallo”, un intreccio misterioso si svolge tra le strade del centro storico di Potenza, tra Via Pretoria e la Chiesa di San Michele si muovono ombre inquietanti, si sentono rumori, voci. Presenze oscure? Intrighi di provincia?
Ci penserà il Maresciallo Nunziogallo a svelare gli intrighi.
Chi sono i personaggi che si agitano nella storia? Demoni? Fantasmi? Sogni? Che succede nelle case di campagna dei potenti? Notai, avvocati, politici.
Un giro di ragazze squillo?
Un video racconto a puntate da seguire con calma e vedere quando vi va.

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